Revisioni Sistematiche dei Modelli Animali: Metodologia vs Epistemologia

Recentemente è stato pubblicato il nuovo articolo del dr. Ray Greek e del dr. Andrè Menache sull'”International Journal of Medical Science”:

Greek R, Menache A. Systematic Reviews of Animal Models: Methodology versus Epistemology. Int J Med Sci 2013; 10(3):206-221. doi:10.7150/ijms.5529. Available from http://www.medsci.org/v10p0206.htm

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La prima parte spiega cosa sono le Revisioni Sistematiche (SR) e le Meta-analisi (MA).
Le prime riuniscono i risultati di tutti gli studi condotti su di un determinato argomento, ottenendo una stima molto affidabile e statisticamente molto stabile. Una SR serve a fornire un dato conclusivo su di un trattamento controverso, poiché genera un’indicazione unica e complessiva a partire dalle informazioni, anche contrastanti, contenute nei singoli studi analizzati.
Le seconde, invece, possono essere considerate delle SR “quantitative”, sono tecniche statistiche che provvedono ad analizzare (fornendo sintesi quantitative) i dati presentati nei singoli studi, con lo scopo di minimizzare gli errori e di poter generalizzare le conclusioni relative.

Successivamente, gli autori contestano le affermazioni di scienziati pro-sperimentazione animale che ritengono di poter ottimizzare la qualità metodologica della ricerca su animali proprio attraverso l’uso delle SR, facendo invece notare che ciò dà per scontato qualcosa che non lo è, ovvero che l’animale sia predittivo per l’uomo.
Citando Pound et al., Greek & Menache mostrano come la variazione delle dosi dei farmaci tra le specie animali determini risultati di incerta rilevanza, che i surrogati o i precursori delle malattie umane ricreati in laboratorio diano risultati di dubbia rilevanza per gli esseri umani e che il periodo di latenza delle malattie nell’uomo non corrisponda necessariamente a quello degli altri animali.

Si passa dunque al tema della predittività, infatti viene subito chiarito come la questione della predittività dei modelli animali sia la giustificazione centrale per far accettare alla società l’uso di queste creature nella ricerca, pertanto una critica veramente esaustiva all’utilizzo di animali in questi ambiti deve necessariamente passare per la critica alla predittività del modello animale.
Il termine predittivo va dunque spiegato, e così gli autori lo associano ai valori predittivi di una pratica o di una modalità.

Anche se la scienza medica non richiede valori predittivi del 100%, ne reclama di molto alti, pertanto anche test che correlano nel 70% dei casi non sono molto d’aiuto.
Un singolo esempio di correlazione, inoltre, non qualifica un modello come predittivo, nè indica un alto valore predittivo positivo (VPP) o negativo (VPN). Un modello o una pratica devono dunque essere valutati basandoci sulla loro storia di correlazione con la realtà, senza escludere i fallimenti. Se si vuole valutare il modello animale, toccherà quindi includere sia le risposte sbagliate che quelle corrette.

Si passa dunque agli esempi di mancata predittività del modello animale, come quello di circa 100 vaccini contro l’HIV che si sono rivelati efficaci su animali ma non sull’uomo e il fallimento di un centinaio di farmaci efficaci per la neuroprotezione nei modelli animali, ma non nelle prove cliniche su esseri umani. Si afferma dunque che in questi casi, anche se con questi metodi si riuscisse un domani ad ottenere un risultato efficace, il modello non sarebbe comunque predittivo per l’uomo a causa dell’enorme numero di fallimenti e del bassissimo VPP.
Altri casi in cui l’animale ha fallito sono i seguenti: su 22 farmaci testati su animali e mostratisi terapeutici nei danni al midollo spinale, nessuno s’è rivelato efficace sull’uomo; appena lo 0,004% dei risultati ottenuti nell’animale per la ricerca di base è trasponibile all’uomo; studiando le risposte di ratti, cani e umani a 6 farmaci, il VPP del ratto fu del 49% e quello del cane del 55%. Un VPP attorno al 50% non è sufficiente a qualificare una modalità come predittiva nella scienza medica, dato che sarebbe equiparabile a quanto ci si potrebbe aspettare dal lancio di una moneta.
La scienza medica richiede invece valori dall’80% in su se ciò riguarda la salute del paziente, come nel caso della reazione ad un farmaco.
Uno studio simile, riportano Greek e Menache, esaminò 6 farmaci su modelli animali, anche se gli effetti collaterali erano già conosciuti su umani. Gli animali identificarono 48 effetti collaterali che non si registravano sugli umani e non identificarono 20 effetti collaterali che invece si registravano sugli umani. Il VPP calcolato fu del 31%.
Uno studio del 1990, poi, riportò come in 16 casi su 24, dei prodotti tossici nell’uomo si rivelarono sicuri sugli animali, mentre una ricerca del 1994 rivelò come solo 6 di 114 farmaci tossici per la specie umana abbiano avuto una correlazione negli altri animali.

Gli autori, a questo punto, introducono una spiegazione al motivo per cui gli animali non possano essere predittivi per l’uomo: sono sistemi complessi.
A differenza di ciò che afferma una visione riduzionista (la stessa che è alla base della S.A.), i sistemi complessi sono più della somma delle loro parti, sono costituiti da molti componenti che possono essere raggruppati in moduli che interagiscono tra loro, hanno proprietà emergenti che derivano dalle interazioni tra le parti, sono resistenti ai cambiamenti, esibiscono ridondanza nei loro componenti, sono auto-organizzati, danno risposte non lineari, hanno livelli gerarchici di organizzazione, interagiscono con l’ambiente, hanno cicli di retroazione, sono dinamici, ecc.

A questo punto l’articolo procede descrivendo come la presenza di diversi alleli, polimorfismi dei singoli nucleotidi, variazione del numero di copie, espressione e regolazione genica differenti, ecc. neghino la possibilità di una predittività tra sistemi complessi in base a somiglianze.
Si procede dunque descrivendo ricerche come quella di Somel et al., che, studiando l’espressione genica nei cervelli di umani, scimpanzè e macachi, ha scoperto un’accelerata evoluzione dell’espressione genica nella corteccia prefrontale umana (il che metterebbe in dubbio i tentativi di estrapolare risultati inter-specie per quest’area). Puente et al., poi, hanno scoperto 20 geni implicati nel cancro umano e che differiscono significativamente dagli scimpanzè. In aggiunta, gli scimpanzè sono praticamente immuni da HIV, epatite B, comune malaria e rispondono diversamente ad altre malattie umane.
Vengono quindi citati alcuni scienziati che affermano come non ci sia alcuna base evolutiva dietro all’abilità di metabolizzazione di alcune specie, che roditori e primati – zoologicamente vicini – hanno metabolismi diversi e che vi è una variazione sostanzialmente genetica nella risposta dei ratti agli xenobiotici.

Gli animali e gli umani – continuano gli autori – sono sistemi complessi evoluti che sono DIVERSAMENTE complessi, e quindi, per questo motivo, non possono essere predittivi.
L’articolo prosegue descrivendo differenze intraspecifiche nell’uomo, che dovrebbero farci capire che, se già nella stessa specie vi sono reazioni diverse a seconda del sesso, dell’etnia, ecc., differenze genetiche ancora maggiori (quelle inter-specifiche) condurranno a modelli completamente fallimentari. Altro punto su cui verte il testo è l’orientamento che la scienza deve compiere nello sviluppare la branca della medicina personalizzata.

A questo punto vengono citati ulteriori esperti sulla mancanza di predittività dell’animale in vari settori, tra cui cancro, tossicologia e modello predittivo in generale.
Di fronte al dato che molti scienziati non riconoscono il modello animale quale non-predittivo, gli autori rispondono facendo notare come la discussione sugli animali quali sistemi complessi evoluti sia relativamente nuova.

Viene dunque fatto notare come anche in condizioni ottimali, il massimo del risultato del modello animale si aggiri attorno al 50% come VPP e si afferma che gli attuali studi siano conformi alla teoria qui proposta.
Infine, viene ribadito che anche se i modelli animali fossero standardizzati e soggetti a SR, continuerebbero a fallire come modelli predittivi per l’uomo, in quanto sia gli animali che gli umani sono sistemi com
plessi con diverse traiettorie evolutive.

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2 risposte a “Revisioni Sistematiche dei Modelli Animali: Metodologia vs Epistemologia

  1. Non a caso: ”[…] Finally, poor replication of even high-quality animal studies should be expected by those who conduct clinical research.” [Hackam & Redelmeier. Translation of research evidence from animals to humans. [research letter]. JAMA 2006; 296(14): 1731-2.] – A.L. di A Favore Della Sperimentazione Senza Animali. Saluti e complimenti sinceri per la pagina e l’ottimo lavoro di divulgazione.

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