Breve panoramica sullo studio dell’HIV: modelli animali e alternativi

Per tentare di meglio comprendere la patogenesi del virus dell’immunodeficienza umano, i ricercatori si sono basati sui SIVs („Simian immunodeficiency viruses“), dei retrovirus[i] presenti solo nei primati non-umani. Questo é dovuto al fatto che i virus dell’immondeficienza nelle scimmie „hanno proprietà morfologiche, di crescita e antigeniche che indicano che sono legati al virus dell’immunodeficienza umano (HIV)“ [1]. Tuttavia, a differenza dell’HIV, i SIVs non risultano patogeni se presenti nei loro ospiti naturali, sviluppando una malattia simile all’infezione da HIV umano solo se inoculati in alcuni tipi di scimmia [2]. Ad esempio, due sottospecie di scimpanzé risultano ospiti naturali del SIVcpz [ii], mentre una terza specie, il P.t. verus non lo é[2].

I modelli animali SIV nello studio dell’AIDS mostrano dei limiti, a causa delle „divergenze genetiche tra le glicoproteine che compongono l’involucro [iii]“ [5] dei virus. Si é quindi deciso di ricorrere a dei „chimerici virus dell’immunodeficienza scimmia/umano (SHIVs)“ [5]. Attualmente, comunque, non esistono modelli animali sufficientemente precisi e predittivi per lo studio dell’HIV umano [6].

L’articolo del quale ci vogliamo occupare [7], sebbene si basi su dati animali, che andrebbero invece preferibilmente sostituiti da corrispettivi umani, propone un approccio combinato tra modelli matematici e studi in-vitro; „metodo che potrà essere applicato ad altre infezioni virali e usato per migliorare la determinazione dell’effetto e del efficacia di composti antivirali in-vitro“.

Per la creazione del modello, i ricercatori si sono basati sul ceppo di SHIV, SHIV-KS661, che causa un’infezione che esaurisce sistematicamente le cellule T CD4+ [iv] nei macachi rhesus, manifestazione analoga a quella che provoca l’infezione da HIV nell’uomo. Come anche asserito nell’articolo, tuttavia, „la cinetica dettagliata del SHIV-KS661 rimane poco chiara. Quantificare e capire la cinetica virale ci fornirà nuovi spunti circa la patogenesi del SHIV (e dell’HIV-1)“.  L’analisi matematica degli studi su animali e colture di cellule „hanno rilevato aspetti fondamentali delle infezioni virali, compresi la specificazione dell’emivita [v] delle cellule  infette e dei virus, la dimensione di scoppio del virus [vi] e il contributo relativo della risposta immunitaria. Importanti risultati sono stati ottenuti anche con l’analisi di esperimenti puramente in-vitro“. 

Nello studio vengono combinati un „relativamente semplice modello matematico dell’infezione da SHIV in HSC-F con un sistema di sperimentazione in-vitro che permette la misurazione della carica virale [vii] totale e infettiva e della concentrazione delle cellule bersaglio e infette. Le cellule HSC-F – un ceppo di cellule T CD4+ ricavato dai macachi cinomologo – sono state infettate in-vitro con il SHIV-KS661 a quattro molteplicità differenti di infezione (MOI [viii]) misurando poi il numero di Nef-negativi e Nef-positivi [ix] e della carica virale giornaliera per nove giorni. Con questi dati abbondanti e diversificati, siamo stati in grado di parametrizzare il modello dinamico e determinare stime affidabili dei parametri cinetici virali, in modo da quantificare il ciclo d’infezione“.

Per concludere gli autori affermano che „poiché il metodo qui presentato permette la risoluzione completa di tutti i parametri cinetici virali, permette anche l’identificazione dei meccanismi d’azione di nuovi composti antivirali. Infatti, ripetendo l’infezione sperimentale sotto varie concentrazioni antivirali rivelerebbe distintamente quali parametri (ad esempio, l’emivita delle cellule infette) sono influenzati dall’antivirale e in quale misura. Inoltre, può essere determinata in modo indipendente per ciascun parametro la concentrazione inibitoria del composto. Così, il nostro approccio sinergico, combinando esperimenti e modelli matematici, è dotato di ampi potenziali di applicazioni in virologia“.

Note:

[i] I retrovirus sono dei virus che grazie ad un enzima riescono a generare un filamento di DNA che inseritosi in una cellula ospite come provirus é in grado di replicarsi in modo autonomo o ricorrendo all’ausilio di altre componenti cellulari.

[ii] Il SIVcpz é ritenuto responsabile di causare nell’uomo il virus dell’HIV-1, poiché zoonotico, in grado quindi di venir trasmesso dall’animale all’uomo [3][4].

[iii] Strato più esterno che ricopre alcuni tipi di virus composto da un doppio strato di fosfolipidi, intervallati da numerose glicoproteine.

[iv] Le cellule T regolatrici (tra le quali le CD4+) hanno un ruolo fondamentale nel prevenire reazioni immuni nei confronti degli antigeni.

[v] Tempo necessario per ridurre il quantitativo di un farmaco o di una sostanza nell’organismo del 50%.

[vi] Il numero di fagi prodotti per batteri infettati o nella media di una popolazione di infezioni fagiche.

[vii] Quantità del virus in circolo.

[viii] Il rapporto tra il numero di agenti infettanti (es. virus) e il target di infezione (es. cellule).

[ix] Una proteina del virus HIV la quale presenza sembra essere necessaria per la replicazione virale e per lo sviluppo della patologia associata al AIDS.

Bibliografia:

[1] L. V. Chalifoux, D. J. Ringler, N. W. King, P. K. Sehgal, R. C. Desrosiers, M. D. Daniel, and N. L. Letvin. Lymphadenopathy in macaques experimentally infected with the simian immunodeficiency virus (SIV). Am J Pathol. 1987 July; 128(1): 104–110.

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1899782/

[2] Sharp PM, Shaw GM, Hahn BH. Simian immunodeficiency virus infection of chimpanzees. J Virol. 2005 Apr;79(7):3891-902.

http://jvi.asm.org/content/79/7/3891

[3] Keele BF, Van Heuverswyn F, Li Y, Bailes E, Takehisa J, Santiago ML, Bibollet-Ruche F, Chen Y, Wain LV, Liegeois F, Loul S, Ngole EM, Bienvenue Y, Delaporte E, Brookfield JF, Sharp PM, Shaw GM, Peeters M, Hahn BH. Chimpanzee reservoirs of pandemic and nonpandemic HIV-1. Science. 2006 Jul 28;313(5786):523-6. Epub 2006 May 25.

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2442710/

[4] Gao F, Bailes E, Robertson DL, Chen Y, Rodenburg CM, Michael SF, Cummins LB, Arthur LO, Peeters M, Shaw GM, Sharp PM, Hahn BH. Origin of HIV-1 in the chimpanzee Pan troglodytes troglodytes. Nature. 1999 Feb 4;397(6718):436-41.

ftp://weir.statgen.ncsu.edu/pub/thorne/viralreadings/gao.pdf

[5] Reimann KA, Li JT, Veazey R, Halloran M, Park IW, Karlsson GB, Sodroski J, Letvin NL. A chimeric simian/human immunodeficiency virus expressing a primary patient human immunodeficiency virus type 1 isolate env causes an AIDS-like disease after in vivo passage in rhesus monkeys. J Virol. 1996 Oct;70(10):6922-8.

http://jvi.asm.org/content/70/10/6922.short

[6] Thippeshappa R, Ruan H, Kimata JT. Breaking Barriers to an AIDS Model with Macaque-Tropic HIV-1 Derivatives. Biology (Basel). 2012 May 12;1(2):134-164.

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3546514/

[7] Iwami S, Holder BP, Beauchemin CA, Morita S, Tada T, Sato K, Igarashi T, Miura T. Quantification system for the viral dynamics of a highly pathogenic simian/human immunodeficiency virus based on an in vitro experiment and a mathematical model. Retrovirology. 2012 Feb 25;9:18. doi: 10.1186/1742-4690-9-18.

http://www.retrovirology.com/content/9/1/18

[S.P.]

2 risposte a “Breve panoramica sullo studio dell’HIV: modelli animali e alternativi

  1. Gentile Staff,ho trovato su internet questo articolo che,come molti altri simili (basati sulla SA) mi lascia perplessa:
    26 LUG – Uno dei principali problemi nella ricerca di un vaccino per l’Hiv è che non esistono modelli animali che riproducano accuratamente la risposta dei tessuti umani al virus, né come questo evolva per evitare questa risposta. Ma nella settimana della 19esima International Aids Conference, in corso a Washington, arriva una notizia che potrebbe risolutiva: se tale modello animale in natura non esiste, si può ovviare inserendo elementi del sistema immunitario umano in un topo immunodeficiente, in modo che questo simuli la risposta dei tessuti del nostro organismo. La ricerca, condotta da un team che vede al suo interno scienziati del Massachusetts General Hospital, del Mit e di Harvard e pubblicata su Science Translational Medicine, potrebbe anche essere utile a ridurre tempo e costi dello sviluppo di un vaccino per l’Hiv.
    Di solito come cavia per i test di immunizzazione per il virus si usano i macachi, che possono essere infettati con il gemello dell’Hiv, il virus di immunodeficienza delle scimmie, o in breve Siv. Il problema è che con questo approccio si hanno non solo differenze nelle sequenze genetiche virali tra Siv e Hiv, ma anche diverse risposte dei sistemi di difese degli organismi umani rispetto a quelli dei primati. Dunque per ottenere finalmente un vaccino, bisogna prima trovare un modello che replichi correttamente quello dell’organismo umano infettato dal virus, anche in modo da comprendere meglio la risposta stessa del sistema immunitario. “La nostra ricerca non solo ha dimostrato che queste cavie ‘umanizzate’ simulano la risposta del sistema immunitario al virus, ma anche che anche la reazione dell’Hiv è la stessa: per evitare le difese del’organismo, infatti, muta le proteine virali target dei linfociti T CD8 proprio come farebbe l’organismo umano”, ha commentato Todd Allen, coordinatore della ricerca. “Per la prima volta abbiamo un modello animale che riproduce correttamente le interazioni tra patogeno e ospite, e ciò potrà aiutarci a sviluppare finalmente un vaccino efficace per l’Hiv”. Soprattutto perché, come è stato dimostrato da precedenti ricerche, quello che aiuta il virus a rimanere nel corpo è proprio la sua capacità di mutare in risposta alle difese immunitarie.
    In particolare, nello studio su Science Translational Medicine, gli scienziati hanno iniettato a dei topi privi di sistema immunitario funzionante delle cellule staminali del midollo osseo, insieme ad altri tessuti umani. La cavia ‘umanizzata’ così creata prende il nome di topo Blt. In particolare, i tessuti sono stati presi da donatori umani, e presentavano diverse versioni (alleli) della molecola Hla del sistema immunitario, che è quella che rende i linfociti T CD8 target del virus: alcuni di questi alleli, come Hla-B57, sono più comuni nelle persone che hanno la capacità naturale di controllare l’Hiv. Alcuni di questi, a seguito del trapianto, erano espressi anche nei topi Blt, dimostrando che anche in questo caso le cavie potrebbero essere adatte alla ricerca per il vaccino: i roditori che presentavano l’allele protettivo, proprio come gli esseri umani che lo presentano, riuscivano a prevenire le mutazioni virali contenendo più efficacemente il virus. “Sappiamo dunque che questi topi possono replicare la specificità della risposta del tessuto cellulare umano all’Hiv, e che questo tenta di evitare i processi di difesa esattamente come farebbe nel nostro organismo”, ha aggiunto Allen. “Al momento stiamo studiando proprio se e come possiamo indurre la risposta immunitaria umana specifica all’Hiv in questi animali, tramite la vaccinazione: se fosse possibile avremmo un modello che replica perfettamente quello umano, ma dai costi e dai tempi di studio ridotti. E in questo modo lo sviluppo di un vaccino da testare sugli esseri umani sarebbe un passo più vicino”.
    Laura Berardi

    Le mie perplessità infatti sono di duplice natura:
    1)analizzando molti articoli emerge l’autoconfessione dei ricercatori stessi che usano animali che i modelli animali NON funzionano..e poi,poche righe più tardi si inventano qualche modo nuovo per cercare di farli migliorare..ma non è come continuare a sbattere la testa sullo stesso muro ,cambiando solo mattone dove sbatterla?
    2) Con questo tipo di pasticci non si rischia di creare in lab varianti ancora più pericolose?
    Grazie dell’attenzione e congratulazioni per il bellissimo ed interessantissimo sito.

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    • Sì, effettivamente è prassi comune cercare di risolvere il tutto con modelli animali GM, oppure dicendo che “vada cambiato il modello” cercando su di un’altra specie.
      E in ogni caso spesso la reazione dell’organismo compensa quella dell’ingegneria genetica, poi spesso le malattie sono multifattoriali e dipendono da vari geni.

      Inoltre, come dicono Bhogal e Combes in “The relevance of genetically altered mouse models of human disease” su ATLA 2006:
      “The relevance of many transgenic mouse models can be questioned on the basis that, even if a species gene homologue has the same function and expression patterns and levels in humans and mice, all the remaining components of the biochemical pathway must be equally represented in the surrogate animal, if relevant mouse models of human diseases are to be created within a laboratory setting.”

      E’ un approccio riduzionista, e le prove lo dimostrano, come i 20 anni di fallimenti dei modelli GM per l’ipertensione, la distrofia muscolare, malattie visive, diabete, anemia falciforme, fibrosi cistica, ecc..

      Prego, grazie a te 🙂

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