Archivi del mese: marzo 2013

Risultati infiammatori sulle estrapolazioni tra specie: gli esseri umani definitivamente non sono topi di 70 kg

[Leist M, Hartung T. Inflammatory findings on species extrapolations: humans are definitely no 70-kg mice. Arch Toxicol. 2013 Apr;87(4):563-7. doi: 10.1007/s00204-013-1038-0. Epub 2013 Mar 19.]

ABSTRACT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23503654

FULL TEXT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3604596/

Abstract:

“La tossicologia moderna ha abbracciato i metodi in vitro, e le maggiori speranze sono basate sulla tecnologia dell’ -omica e gli approcci alla biologia dei sistemi che porta con sé  (Hartung and McBride in ALTEX 28(2):83–93, 2011; Hartung et al. in ALTEX 29(2):119–28, 2012). Una cultura di stringente validazione è stata sviluppata per questo tipo di approcci  (Leist et al. in ALTEX 27(4):309–317, 2010; ALTEX 29(4):373–88, 2012a; Toxicol Res 1:8–22, 2012b), mentre la qualità e l’utilità degli esperimenti sugli animali sono state poco esaminate. Un nuovo studio (Seok et al. 2013) ora mostra la bassa predittività delle risposte degli animali nel campo dell’infiammazione. Questi risultati confermano precedenti risultati di comparazione nei campi della neurodegenerazione, dell’ictus e della sepsi. La bassa predittività degli esperimenti su animali nelle aree di ricerca che permettono il confronto diretto dei dati provenienti dal topo rispetto ai dati umani mette in forte dubbio l’utilità dei dati animali come tecnologia chiave per predire la sicurezza umana.”

 

Riportiamo anche parti interessanti dell’articolo:

“[…] La valutazione se gli esperimenti su animali forniscano un valido punto di partenza per la previsione di un pericolo umano può seguire due linee principali. La prima raccoglie le prove dei casi di intossicazione umana. Almeno per alcuni composti, ciò permette un confronto diretto degli effetti sugli animali e sull’uomo. Gli esempi più evidenti dei casi di studio che suggeriscono una misera predittività sono l’esperienza con talidomide, o con il candidato farmaco TGN1412, che hanno causato terribili effetti nell’uomo che non erano stati previsti sulla base dei dati disponibili sugli animali (Stebbings et al. 2007). La mancanza di correlazione è vista anche al contrario, cioè quando i dati di roditori predicono il cancro per composti che sono sicuri nell’uomo (Gold et al. 2005; Basketter et al. 2012). Per alcune classi di composti, ci sono anche esempi positivi di dati sugli animali quantitativamente previdenti tossicità. Tuttavia, in molti settori della tossicologia (ad esempio nel campo dei pesticidi) tali dati comparativi sono difficilmente reperibili. Inoltre, questo approccio induttivo (usando studi di casi singoli) non consente affermazioni generali conclusive sull’utilità degli esperimenti sugli animali. Pertanto, come seconda linea, sono state concepite strategie deduttive di affrontare la questione. Tali approcci richiedono risposte a due tipi di domanda. Per esempio: (a) esiste almeno un campo in cui possono essere ottenuti dati comparativi di alta qualità? (B) si può mostrare, o ragionevolmente supporre, che la predittività degli animali per l’uomo non si distingue fondamentalmente in diversi campi della ricerca biomedica? Se le risposte a queste domande possono essere ottenute, una terza fase sarebbe la combinazione delle risposte per la deduzione di una conclusione generale.

Ci occuperemo qui della seconda questione solo per breve tempo. La risposta derivante dallo screening della letteratura scientifica deve essere chiaramente ‘sì’. Decine di migliaia di pubblicazioni, tutte peer-reviewed, spesso in riviste d’alto impatto, si basano sul presupposto che gli animali siano predittivi per l’uomo in tutte le diverse aree di ricerca dell’uso di animali. Le affermazioni comparative che un’area sia particolarmente bene o particolarmente male prevista non possono essere motivate dalla letteratura scientifica disponibile. Enormi quantità di denaro pubblico vengono spese sul presupposto che gli animali siano utili per tutti i settori biomedici. Nessuna agenzia di concessione ha mai dichiarato un particolare campo della ricerca medica inutile per la ricerca sugli animali. Gli animali vengono applicati in modo uniforme come modello in tutti i settori della farmacologia, della tossicologia e nella ricerca in generale nella biologia delle malattie. Quest’uso è approvato da comitati di esperti scientifici, da comitati etici, dalle agenzie di finanziamento e dai decisori politici che canalizzano le ingenti somme per il finanziamento della ricerca e dello sviluppo in diverse aree. Il crescente utilizzo di animali per la ricerca negli ultimi anni è stato accelerato dalla generazione diffusa di topi transgenici. L’aumento della sperimentazione animale nella maggior parte dei settori biomedici ha sovracompensato tutti gli sforzi di successo per sostituire gli animali in alcuni settori della ricerca (Hartung and Leist 2008; Blaauboer et al. 2012; Leist et al. 2012a; Hasiwa et al. 2011). La prova concreta della fede nell’utilità della sperimentazione animale attraverso i campi (in termini di centinaia di milioni di dollari e di euro investiti sulla base di questo assunto) è schiacciante.

Questo riguarda anche il campo della tossicologia, che non può essere separata da altre aree della ricerca biomedica, per quanto riguarda i meccanismi biologici e la loro correlazione nell’uomo e negli animali in oggetto  (Leist et al. 2008a; Hartung 2009). La tossicologia ha beneficiato molto da risultati e metodi di altri campi, e si presume generalmente che le regole biochimiche e fisiologiche, così come le loro controparti patologiche scoperte da diverse discipline mediche, si applichino anche al settore delle scienze della sicurezza (Leist et al. 2008b; Rossini and Hartung 2012). Possiamo quindi tranquillamente presumere che la predittività dei modelli animali sia giudicata altrettanto elevata in farmacologia e in tossicologia, e la parte seguente si concentrerà su dove trovare buoni dati comparativi degli animali rispetto all’uomo.

Una risposta è stata fornita da un recente e notevole studio di Seok et al. (2013) dal ‘programma di ricerca collaborativa a larga scala sull’infiammazione e la risposta dell’ospite alla lesione’. Hanno scelto l’infiammazione come campo di ricerca medica, in cui sono disponibili dati umani e in cui i modelli murini sembrano avere una somiglianza meccanicistica molto buona per la situazione della malattia umana. La risposta biologica alle lesioni è stata analizzata a livello molecolare, guardando nella regolazione di circa 5.000 geni umani rilevanti per l’infiammazione e confrontandola con le risposte della controparte murina. Il risultato è stato sorprendente, quasi sconvolgente: la correlazione non solo era misera, era praticamente assente per le aree di studio principali: ustioni, traumi, endotossiemia. Quando lo studio è stato esteso ad altri settori, come sepsi e infezioni, le misere correlazioni di dati umani e di topo sono state confermate. Così, le risposte sui topi non possono predire le reazioni umane; almeno in questi campi. Sulla base delle considerazioni di cui sopra (domanda (b)), non vi è ragione di credere che la correlazione sarebbe migliore in qualsiasi altro campo.

Si potrebbe sostenere, che questo è solo uno studio, e solo uno molto particolare e su di un piccolo campo. In questo contesto, è importante esaminare i motivi per i quali questi esperimenti sono stati eseguiti. L’articolo di Seok non è uno studio indipendente, ma è stato innescato da preoccupanti risultati di 20 anni di ricerca, che ha suggerito che modelli animali non-predittivi potrebbero essere la ragione per i numerosi insuccessi clinici di nuovi farmaci nel campo della sepsi. La sepsi è una risposta infiammatoria sistemica e ancora una delle principali cause di morte sulle stazioni ad alta intensità in tutto il mondo. Per questo motivo, enormi risorse sono state dedicate alla ricerca di base e ai suoi meccanismi per la scoperta di farmaci. Infiniti articoli sono apparsi in rivis
te ad alto impatto già negli anni ’90, ma la traslazione di qualsiasi risultato animale falliva nelle fasi cliniche. Opal e Cross (1999) hanno riassunto già allora ‘E’ ormai dolorosamente evidente che i modelli animali forniscono stime fuorvianti ed eccessivamente ottimistiche del beneficio di sopravvivenza di specifici farmaci antisepsi rispetto alla reale efficacia clinica nell’attuale sepsi umana’. Questa situazione non è migliorata con il tempo per le prove e per l’ottimizzazione di studi sugli animali (Buras et al. 2005). Quando l’unico trattamento scoperto da questo approccio, una proteina C-reattiva attivata è stata dovuta essere ritirata dal mercato nel 2011, più di 100 ulteriori studi clinici sono stati eseguiti, e divenne evidente che ogni singolo approccio che aveva avuto successo negli animali aveva fallito (Rittirsch et al. 2007; Christaki et al. 2011). Tuttavia, studi su animali in questo campo continuano ad essere finanziati. Questo in qualche modo ricorda il comportamento del principe Amleto come è stato descritto da Polonio: ‘c’è del metodo nella sua follia’.

I topi continuano ad essere utilizzati come modelli, dato che il loro fallimento in passato è stato dichiarato non essere a causa di una generale inidoneità dei modelli animali, ma piuttosto di una scarsa qualità, standardizzazione e adattamento ai quesiti clinici di tali studi. E’ infatti vero che vi è una forte evidenza di deficit nella qualità e nella segnalazione di studi su animali (Hartung 2008; Macleod and van der Worp 2010; Kilkenny et al. 2010; van der Worp et al. 2010; van der Worp and Macleod 2011). Su questa base, ci si può chiedere se il valore traslazionale (Hackam and Redelmeier 2006; Rice 2012) è sufficientemente elevato da giustificare un ulteriore uso.

Eventualmente, la scarsa correlazione, e la sua relazione con la qualità della sperimentazione animale sono caratteristiche particolari di ricerca sull’infiammazione e sull’infezione. Per esaminare questo, vale la pena dare un’occhiata a un campo di ricerca completamente diverso: l’ictus ischemico. Condivide una caratteristica importante con la ricerca sull’infiammazione: i modelli animali si pensa siano concettualmente molto vicini alla situazione umana. In un ictus ischemico umano, la circolazione del sangue è occlusa ed esattamente la stessa è modellata negli animali. Nell’endotossiemia, in lesioni, infezioni o bruciature, gli stimoli negli esseri umani e nei topi sono esattamente gli stessi. Questa è una situazione favorevole, rispetto ai campi della neurodegenerazione correlata all’età, malattie cardiovascolari, diabete di tipo II, asma o cancro, che richiedono la generazione di modelli animali piuttosto artificiali. Torniamo all’ictus: quanto bene lavorano i modelli animali? Lavorano similmente all’infiammazione: non a tutti. Oltre alla trombolisi, ogni singolo trattamento neuroprotettivo per l’ischemia cerebrale che ha funzionato con successo negli animali (oltre 500 sono stati riportati (van der Worp et al. 2010)) è fallito nell’uomo. Questa affermazione negativa si basa su di un gran numero di prove, comprendese decine di grandi studi e centinaia di quelli più piccoli (De Keyser et al. 1999; Gladstone et al. 2002; O’Collins et al. 2006; Savitz and Fisher 2007). Inoltre, in questo campo, il guasto è stato attribuito agli standard di ricerca miseri, e i criteri di qualità sono stati definiti modificanti questa situazione. Il fallimento di farmaci, malgrado il rispetto di tali criteri, ha innescato quindi la progettazione di nuovi criteri (Dirnagl and Fisher 2012; Savitz and Fisher 2007). Inoltre, a questo riguardo, la ricerca ictus assomiglia alla ricerca sull’infiammazione. La conclusione alternativa, che gli studi sugli animali non sono intrinsecamente adatti per prevedere la situazione umana, è considerata più raramente (Musch et al. 2006; Matthews 2008).

Prima di una generalizzazione rapida delle conclusioni, è certamente prudente dare un’occhiata più da vicino alle aree di ricerca adiacenti. Un campo collegato alle infiammazioni e alle infezioni è la ricerca che si occupa di “contromisure al terrorismo biologico e chimico e alla guerra”. Questo esempio è evidenziato qui, come il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha sponsorizzato un report del National Academy of Science degli USA sui “modelli animali per valutare le contromisure per agenti di bioterrorismo”, pubblicato nel dicembre 2011 (NRC 2011). L’utilità dei modelli animali è stata valutata da scienziati di fama, e la conclusione della relazione è che i modelli animali non sarebbero utili. Invece, è stata rilasciata la raccomandazione che dovrebbero essere sviluppati sistemi in vitro 3D di cellule umane. Questa decisione è stata presa in maniera così seria che complessivamente 200 milioni di $ sono stati resi disponibili dal momento per la ricerca in questo campo (Hartung and Zurlo 2012). Settori scientifici connessi a quello dell’ictus ischemico sono le malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer o di Parkinson. Questo campo ha visto grandi investimenti del settore privato e pubblico. Decine di farmaci neuroprotettivi e principi sono stati scoperti negli animali, nessuno di essi ha mai funzionato nell’uomo.

Tuttavia, la convinzione che la ricerca su topi possa portare ad informazioni sulle malattie umane e sui loro trattamenti è ancora tenuta salda dalla maggior parte delle agenzie di finanziamento scientifico. I risultati sulle differenze di specie tendono ad essere trascurati, e l’inclinazione dei dati disponibili verso i risultati positivi su animali da parte di un bias di pubblicazione è stata solo recentemente svelata (Sena et al. 2010). Solo per citare alcuni esempi, è stato chiaro prima dello studio di Seok che la segnalazione del TLR4, un processo fondamentale nella risposta infiammatoria, è diversa nell’uomo e nel topo (Schmidt et al. 2010), ed è generalmente noto che molti mediatori infiammatori prendono ruoli molto diversi in specie diverse. Anche le regolazioni fondamentali che vanno dal controllo neurale delle vie aeree (Schlepütz et al. 2012) alla biologia delle cellule staminali (Schnerch et al. 2010) sono molto diverse tra le specie. Tutte queste prove suggeriscono che gli animali non sono particolarmente buoni predittori degli umani, nelle aree in cui abbiamo dati comparativi sulle diverse specie. La tossicologia è un’eccezione? Almeno alcuni dati comparativi sono disponibili dai farmaci che sono stati valutati prima negli animali, poi nell’uomo. Il più grande studio comparativo in questo settore (Olson et al. 2000) trova una misera (vale a dire, il 43%) predittività dei roditori per l’uomo. Si afferma esplicitamente che questo non è necessariamente a causa del diverso metabolismo, ma forse a causa di una biologia diversa. Alcuni esempi di tali differenze molecolari nella tossicodinamica sono ben noti. Per esempio, l’uomo è circa 1000 volte più sensibile all’inibizione della Na-K ATPasi da parte del glicoside cardiaco ouabaina rispetto al topo (Kent et al. 1987), e la differenza di sensibilità all’endotossina batterica può avere una portata anche di milioni di volte  (Seok et al. 2013; Hasiwa et al. 2013). Così, ci sono molti esempi individuali che suggeriscono che gli esseri umani non sono semplicemente topi di 70 kili, né in farmacologia, né in tossicologia. Il recente studio di Seok et al. (2013) ha confermato questo concetto, basato su di un ampio approccio sistematico. Le dichiarazioni di questo lavoro sono state approvate dagli scienziati di fama che hanno confidato negli studi su animali in passato. La loro dichiarazione, sul fallimento dei topi nel prevedere per l’uomo in un settore importante della farmacologia, dovrebbe essere preso sul serio – e serve anche come spunto di riflessione in tossicologia.”

Animali geneticamente modificati: l’organismo modifica la risposta geneticamente programmata

Questo articolo dimostra come, in modelli animali anche geneticamente modificati, l’organismo possa esprimere reazioni che annullino, compensino o modifichino la risposta geneticamente programmata:

“[…] Il canale del potassio ATP-sensibile è un complesso molecolare chiave per la secrezione di insulina stimolata dal glucosio in cellule pancreatiche beta. Negli esseri umani, mutazioni in una delle due subunità di questo canale, il recettore di sulfonilurea di tipo 1 (SUR1) o Kir6.2, causa ipoglicemia iperinsulinemica persistente infantile. Abbiamo generato e caratterizzato un topo a cui è stato annullato SUR1. È interessante notare che questi animali rimangono euglicemici per una gran parte della loro vita nonostante la costante depolarizzazione di membrana, l’elevata concentrazione citoplasmatica di Ca (2 +), e la sensibilità intatta del meccanismo esocitotico di Ca (2 +). Un confronto della secrezione di insulina stimolata dal glucosio e dai pasti ha mostrato che, sebbene il topo a cui è stato annullato SUR1 non secerne insulina in risposta al glucosio, secerne quantità pressoché normali di insulina in risposta all’alimentazione. […]

Abbiamo trovato che il pancreas perfuso a cui era stato annullato SUR1 secerneva insulina in risposta all’agonista colinergico carbacolo in una maniera glucosio-dipendente.
Insieme, questi risultati suggeriscono che la stimolazione colinergica è uno dei meccanismi che compensano la risposta gravemente compromessa al glucosio e a GLP-1 causata dall’assenza di SUR1, consentendo all’euglicemia di essere mantenuta.”

[Shiota C, Larsson O, Shelton KD, Shiota M, Efanov AM, Hoy M, Lindner J, Kooptiwut S, Juntti-Berggren L, Gromada J, Berggren PO, Magnuson MA.

Sulfonylurea receptor type 1 knock-out mice have intact feeding-stimulated insulin secretion despite marked impairment in their response to glucose.

J Biol Chem. 2002 Oct 4;277(40):37176-83. Epub 2002 Jul 30.]

ABSTRACT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12149271

FULL TEXT: http://www.jbc.org/content/277/40/37176.long

Fallimenti di studi sulla teratogenità nei modelli animali: alcuni esempi

Dopo il caso talidomide, la necessità di ricercare gli effetti teratogeni di una sostanza o composto è diventata di primaria importanza. Purtroppo, come molti autori ci indicano, i modelli animali sono pressoché inutilizzabili in questi studi, a causa delle differenze anatomiche e funzionali della placenta tra uomo e animale [1], dei diversi fattori, quali l’assunzione di droghe, l’uso di alcool, l’alimentazione, che possono interferire con le sostanze e „causare effetti totalmente inaspettati“ [2] e del fatto che, oltretutto, molti effetti teratogeni sono solamente specie-specifici e sono quindi irrilevanti per le altre specie. A titolo di esempio citiamo una ricerca condotta nel 1964 da G.E. Paget ed E. Thorpe che ha mostrato come le solfonammidi fossero teratogene nel ratto, ma non nel coniglio. Gli effetti non sono mai stati riscontrati sugli esseri umani [3]

Il destrometorfano, un antitussivo, é risultato sicuro durante la gravidanza [4] [5], tuttavia studi posteriori sugli embrioni di pollo [6] e sui danio rerio [7] ne hanno mostrato l’alto effetto teratogene.

„La comune forma della vitamina A (palmitato di retinale) risulta teratogena alle minime dosi di -163,000 IU/kg/giorno nel ratto e -9,000 IU/kg/giorno nel coniglio (Kamm, 1982). I risultato mostrano chiaramente che il palmitato di retinale é un azzardo se preso durante la gravidanza ; tuttavia questi dati non indicano quale dose sarà teratogena se presa dall’essere umano e pertanto non forniscono informazioni per quanto riguarda il rischio. Non esistono prove che la vitamina A abbia causato malformazioni alla nascita nell’uomo ma é auspicabile che un livello di sicurezza venga stabilito. Per la specie più sensibile, il coniglio, la dose non risultata teratogena é di 3.600 IU/kg/giorno. Per una donna incinta di 50 kg, 3.600 IU/kg/giorno rappresentano una dose giornaliera di 180.000 IU. Nel tentativo di estrapolare i dati risultanti dagli animali sugli animali si applicano dei fattori di sicurezza alle dosi date agli animali, „10-fold“ per differenze di specie e ulteriori „10-fold“ per differenze inter-umane. Se questo comune, ma arbitrario, fattore di sicurezza di „100-fold“ viene applicato nel caso di una donna incinta di 50 kg, ne risulta una dose giornaliera di 1800 IU. Questa dose é sotto la dose raccomandata di vitamina A per una donna incinta e al di sotto della dose di assunzione media durante la gravidanza. Questo metodo non é quindi indicato per misurare la dose di vitamina A che potrebbe causare difetti nel nascituro.„ [8]

„L’isotretinoina é un farmaco, derivato dalla vitamina A, utilizzato nel trattamento dell’acne. Questo farmaco é risultato teratogeno nel ratto a 150 mg/kg/giorno e nel coniglio a 10 mg/kg/giorno. Le rispettive dosi non teratogene erano di 50 rispettivamente 3 mg/kg/giorno (Kamm, 1982). Per questo farmaco esistono sufficienti dati umani che dimostrano che il farmaco é teratogeno a dosi a partire da 0.5 mg/kg/giorno (Lammer et al., 1985; Rosa et al., 1986). Questa dose é 300 volte inferiore a quella teratogena nei ratti e 20 volte inferiore a quella teratogena per i conigli.“ [8]

Quelli riportati sopra sono alcuni degli esempi di incompatibilità tra modello animale e uomo negli studi sulla teratogenicità. I metodi sostitutivi, quindi, sono quelli più utilizzati.
Per esempio l’epidemiologia come nel caso del destrometorfano, dove sono state condotte ricerche su un campione di donne incinte che hanno assunto il farmaco al fine di riscontrarne gli effetti avversi [4], nel caso delle statine [10] o delle benzodiazepine ipnotiche [11].

Un altro metodo riguarda l’utilizzo di embrioni in-vitro, sui quali riportiamo la traduzione dell’abstract di una ricerca [8]:
„Le colture embrionali risultano un ottimo metodo per lo screening degli agenti chimici per il rischio di effetti teratogeni. Rispetto ai testi in-vivo, sono poco costose e rapide e non implicano la sperimentazione su animali adulti vivi. Anche nell’importante area di stima del rischio, le colture cellulari offrono vantaggi rispetto alla sperimentazione in-vivo. Avversi esiti embrionali (malformazioni o effetti embriotossici) sono direttamente correlati alla concentrazione sierica del composto testato che può venir confrontata con la concentrazione sierica nell’uomo. Un simile confronto non può venir effettuato dopo test in-vivo, a causa delle importanti differenze farmacocinetiche tra uomo e animale da laboratorio. Test in-vivo sono quindi anche limitati dalla possibilità che i metaboliti che si verificano negli umani non si verificano negli animali da esperimento. Questo problema può venir superato nel sistema in-vitro aggiungendo il metabolita direttamente alla concentrazione desiderata, con o senza il composto progenitore. Uno svantaggio é il limitato periodo di embriogenesi che viene intrapreso nei comuni sistemi di coltura. Questo limita la gamma di malformazioni che possono essere indotte e rende il sistema inadatto per testare composti che esercitano il loro effetto tossicologico nel tardo periodo di gestazione. Le valutazioni delle colture di cellule per la determinazione dei rischi e pericolo in teratologia, devono tenere conto del limitato valore dei sistemi in-vivo correntemente utilizzati. Più di 2000 prodotti chimici sono risultati teratogeni dopo esperimenti su animali in-vivo (Shepard, Catalog of Teratogenic Agents, 1989). In confronto, solo di 20 sostanze chimiche sono conosciuti gli effetti teratogeni sull’uomo. L’alto numero di falsi-positivi non é facilmente distinguibile dal numero dei veri-positivi. A questo proposito la sperimentazione in-vivo é gravemente carente. Anche nei sistemi di prova tramite colture di embrioni si attendono molti falsi-positivi; tuttavia é possibile differenziarli dai veri-positivi confrontando le effettive concentrazioni del farmaco con le concentrazioni terapeutiche nell’uomo. La carenza più grave, sia per i sistemi in-vivo che quelli in-vitro, sono i falsi-negativi. Questo non é stato un problema per la validazione dei test in-vitro (eccetto forse per la procarbazina), ma farmaci difficili, come il talidomide, non sono stati inclusi. Il talidomide rimane un importante index chimico perché non é teratogeno nei topi e nei ratti, ma lo é nel coniglio e nell’uomo. È probabile che queste discordanze siano dovute a differenze metaboliche tra le specie ed é possibile che se le sostanze teratogeno/i del talidomide saranno individuate risulterebbero teratogeni nelle colture di embrioni di ratto. La coltura di embrioni rimane uno strumento molto importante che deve continuare a contribuire alla determinazione della sicurezza di farmaci e altri composti chimici durante la gravidanza.“

Riferimenti bibliografici:
[1] Siu SS, Yeung JH, Lau TK. An in-vivo study on placental transfer of naproxen in early human pregnancy. Hum Reprod. 2002 Apr;17(4):1056-9. http://humrep.oxfordjournals.org/content/17/4/1056.long
[2] Bertollini R, Pagano M, Mastroiacovo P. What is a human teratogen: clinical and epidemiological criteria. Ann Ist Super Sanita. 1993;29(1):97-104.
http://www.iss.it/binary/publ/cont/Pag97_104Vol29N11993.pdf 
[3] G. E. Paget and E. Thorpe. A teratogenic effect of a sulphonamide in experimental animals. Br J Pharmacol Chemother. 1964 October; 23(2): 305–312. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1704094/pdf/bripharmchem00039-0091.pdf 
[4] Einarson A, Lyszkiewicz D, Koren G. The safety of dextromethorphan in pregnancy : results of a controlled study. Chest. 2001 Feb;119(2):466-9. 
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http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11169553
[6] Andaloro VJ, Monaghan DT, Rosenquist TH. Dextromethorphan and other N-methyl-D-aspartate receptor antagonists are teratogenic in the avian embryo model. Pediatr Res. 1998 Jan;43(1):1-7. 
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[7] Xu Z, Williams FE, Liu MC. Developmental toxicity of dextromethorphan in zebrafish embryos/larvae. J Appl Toxicol. 2011 Mar;31(2):157-63. doi: 10.1002/jat.1576. Epub 2010 Aug 24.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3515875/
[8] Webster WS, Brown-Woodman PD, Ritchie HE. A review of the contribution of whole embryo culture to the determination of hazard and risk in teratogenicity testing. Int J Dev Biol. 1997 Apr;41(2):329-35. 
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[9] Winterfeld U, Allignol A, Panchaud A, Rothuizen L, Merlob P, Cuppers-Maarschalkerweerd B, Vial T, Stephens S, Clementi M, De Santis M, Pistelli A, Berlin M, Eleftheriou G, Maňáková E, Buclin T. Pregnancy outcome following maternal exposure to statins: a multicentre prospective study. BJOG. 2013 Mar;120(4):463-471. doi: 10.1111/1471-0528.12066. Epub 2012 Nov 30.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23194157
[10] Wikner BN, Källén B. Are hypnotic benzodiazepine receptor agonists teratogenic in humans? J Clin Psychopharmacol. 2011 Jun;31(3):356-9. doi: 10.1097/JCP.0b013e3182197055.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21508851


[S.P.]

Differenze di assorbimento percutaneo delle sostanze tra uomo e ratto

[Barber ED, Teetsel NM, Kolberg KF, Guest D. A comparative study of the rates of in vitro percutaneous absorption of eight chemicals using rat and human skin. Fundam Appl Toxicol. 1992 Nov;19(4):493-7.]

Secondo questo studio, la permeabilità della pelle di ratto è maggiore di quella umana. Considerato ciò è preferibile utilizzare, nelle metodologie in vitro, sempre tessuti umani rispetto a quelli di altri animali.

Riportiamo l’abstract tradotto:


Sono stati effettuati studi di assorbimento percutaneo in vitro per otto sostanze chimiche usando pelle di ratto di pieno spessore e strato corneo umano. Lo scopo degli studi era confrontare la velocità di assorbimento per le due specie. Per ciascuna delle sostanze chimiche, il tasso osservato utilizzando pelle di ratto di pieno spessore era maggiore di quello osservato per lo strato corneo umano. I rapporti dei tassi (ratto/uomo) variava da 1.7 a 5.8 con un valore medio di 3.1. I prodotti chimici testati sono stati acqua triziata, 2-etossietilacetato, dietilenglicole monobutiletere, urea, di-2-etilesilftalato, 2-etilesanolo, etil-3-etossipropionato, e 2-propossietanolo. I prodotti chimici sono stati scelti per rappresentare una vasta gamma di proprietà fisiche e valori di permeabilità costanti. Si è concluso che la pelle di ratto è più permeabile della pelle umana per ciascuna di queste otto sostanze chimiche. Questa conclusione è supportata dai risultati di studi analoghi in altri laboratori e suggerisce che i risultati derivanti da studi nel ratto sovrastimano l’assorbimento cutaneo nell’uomo.

 

ABSTRACT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1426706

Dolore cronico e modelli animali

[Berge OG. Predictive validity of behavioural animal models for chronic pain. Br J Pharmacol. 2011 Oct;164(4):1195-206.]

ABSTRACT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21371010

FULL TEXT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3229757/

Questo articolo del 2011 parla dell’uso di animali come modelli sperimentali per il dolore cronico.
Nonostante sia pro-sperimentazione animale, si può facilmente notare come attacchi in vari ambiti gli attuali metodi in vivo, nonostante si noti un iperaffidamento ad essi.

In questo testo si può notare come le malattie siano spesso e volentieri ricreate per assomigliare maggiormente a quelle umane, il che costituisce un problema metodologico, come già affermavano nel 2004 Pandora Pound e colleghi sul British Medical Journal [Pound P, Ebrahim S, Sandercock P, Bracken MB, Roberts I; Reviewing Animal Trials Systematically (RATS) Group. Where is the evidence that animal research benefits humans? BMJ. 2004 Feb 28;328(7438):514-7.]

Nonostante questo e altre questioni che mettono in dubbio la predittività dei test su animali, l’autore ritiene che la qualità metodologica possa essere migliorata. Tuttavia un recente articolo dell’International Journal of Medical Science ha dimostrato come ciò non sia attuabile, soprattutto in quanto gli animali sono sistemi complessi. [Greek R, Menache A. Systematic Reviews of Animal Models: Methodology versus Epistemology. Int J Med Sci 2013; 10(3):206-221.].

Riportiamo quindi l’abstract tradotto:

I modelli di roditori per il dolore cronico possono chiarire i meccanismi fisiopatologici ed identificare potenziali bersagli farmacologici, ma è controverso quando predicano l’efficacia clinica di nuovi composti. Diversi potenziali analgesici hanno fallito negli studi clinici, a dispetto di un forte sostegno per l’efficacia dei modelli animali, ma ci sono anche esempi di modelli di successo. Differenze significative nel modo in cui sono implementati i metodi e di come sono riportati i risultati indicano che il confronto tra la letteratura basata su dati preclinici e prove cliniche non rivelerà se un particolare modello è generalmente predittivo. Resoconti limitati sugli esiti negativi impediscono una stima attendibile della specificità di qualsiasi modello. I modelli animali tendono a essere validati con analgesici standard e potrebbero essere sviati verso meccanismi del dolore trattabili. Ma le pubblicazioni precliniche raramente contengono dati di esposizione dei farmaci, e i farmaci sono generalmente dati in alte dosi e in una singola somministrazione, il che può portare al discostamento significativo della distribuzione del farmaco e dell’esposizione rispetto alle condizioni cliniche. La più grande sfida per i modelli predittivi è, tuttavia, l’eterogeneità della popolazione dei pazienti target, sia in termini di sintomi che di farmacologia, probabilmente riflettendo differenze di fisiopatologia. In studi clinici ben controllati, la maggioranza dei pazienti presenta meno del 50% di riduzione del dolore. Un modello che risponde bene agli analgesici attuali dovrebbe pertanto prevedere l’efficacia solo in un sottogruppo di pazienti all’interno di un gruppo diagnostico. Ne consegue che la traslazione di successo richiede diversi modelli per ogni indicazione, riflettendo processi fisiopatologici critici, combinati con i dati che colleghino i livelli di esposizione con effetto sul target.

E qui alcune parti interessanti:

“Il dolore è un’esperienza soggettiva, multidimensionale con componenti sensoriali, emotive e cognitive che sono difficili, se non impossibili, da includere in un modello animale. L’interpretazione del comportamento animale in termini di specifiche modalità sensoriali e connotazioni affettive è tutt’altro che inequivocabile.”

“L’implicazione per la creazione di modelli animali che mirano ad una previsione dell’ efficacia e della potenza di analgesici è che un singolo modello è probabile che rappresenti solo un certo numero di meccanismi fisiopatologici o nella migliore delle ipotesi un segmento del paziente, il che può non corrispondere ad una categoria diagnostica tradizionale. Questo concetto è fondamentalmente diverso da una visione storica e ancora non rara in cui un modello predittivo dovrebbe essere generalmente applicabile in condizioni di dolore, o per lo meno all’interno di una categoria come il dolore neuropatico o il dolore causato da osteoartrite (Taber, 1974).

La sfida complessiva è quindi capire quali meccanismi del dolore cronico un particolare modello può affrontare e come si correla a segni e sintomi in segmenti definiti di pazienti. La validità di costrutto del modello è, in altre parole, critica. Un modello deve dimostrare sia sensibilità (cioè la capacità di prevedere efficacia analgesica) che specificità (cioè la capacità di rilevare risultati negativi) per essere utile nel predire l’efficacia e potenza. Ci sono, però grandi lacune nella nostra comprensione della fisiopatologia del dolore, e non è chiaro come la segmentazione dei pazienti per il trattamento ottimale possa essere realizzata al meglio (Serra, 2010), figuriamoci la creazione di modelli.”

“Un certo numero di agenti, quando iniettati per via intraperitoneale nei roditori, produrrà una risposta comportamentale costituita da stiramento e contorcimento, utilizzati nel test di contorcimento. Storicamente, l’attuazione varie di questo test ha dimostrato buona sensibilità agli analgesici di classi diverse, ma la specificità è scarsa (Taber, 1974).”

“Un modello di ratto del virus della varicella zoster associato a dolore neuropatico esiste ma non è ampiamente utilizzato, e non è chiaro quanto riproduca bene la nevralgia posterpetica (Fleetwood-Walker et al., 1999; Hasnie et al., 2007). Modelli di roditori di neuropatia diabetica e indotta dalla chemioterapia sono ben stabiliti, ma in alcune implementazioni, affezioni di salute generale possono interferire con la modellazione di analgesici, ed i modelli riflettono caratteristiche cliniche in misura variabile (Wuarin-Bierman et al., 1987; Fox et al., 1999; Morrow, 2004; Authier et al., 2009; Obrosova, 2009).”

“L’infiammazione può avere un ruolo nella genesi della neuropatia in questi modelli, ma può anche essere un fattore di confusione producendo sintomi e risposte farmacologiche non esclusivamente connesse alla neuropatia.”

“I vari modelli di lesione parziale del nervo sciatico differiscono alquanto nella durata e nella portata dei cambiamenti sensoriali, segni di dolore spontaneo, ma anche in termini di difficoltà tecnica e riproducibilità (Dowdall et al., 2005). Sebbene le principali caratteristiche dei modelli sono state riprodotte in un gran numero di laboratori, l’abilità chirurgica e le variazioni nella procedura incideranno sull’esito di modelli di neuropatia e contribuiranno alla variabilità (Zeltser et al., 2000). Anche le differenze genetiche sono significative (Mogil et al., 1999; Shir et al., 2001; Xu et al., 2001). Presi insieme, questi fattori possono essere una maggiore fonte di variazione rispetto alle differenze specifiche del modello.”

“Per una condizione come la sindrome dell’intestino irritabile, l’efficacia di nuovi farmaci è stata correlata con effetti in modelli sperimentali umani, ma nel complesso, la correlazione è stata debole tra le misure di ipersensibilità ottenute in modelli sperimentali e il dolore clinico e i sintomi globali (Mayer et al., 2008).”

“Il saggio è sensibile a fattori quali la postura, l’esatta focalizzazione del fascio e la temperatura di adattamento della pelle, che può essere modificata dal modello stesso, la movimentazione e le procedure nell’ambito dei test e dagli effetti farmacologici di composti di prova (Bennett and Xie, 1988; Luukko et al., 1994; Dirig et al., 1997; Le Bars et al., 2001).
Questi fattori possono portare ad errori sistematici, ed è spesso poco chiaro se adeguati controlli vengano effettuati.”

“Indipendentemente dal modello e dalla lettura, l’interpretazione del comportamento è una sfida. La qualità della sensazione che suscita una risposta evocata può essere dedotta solo dalla modalità dello stimolo e dalle caratteristiche della risposta. Sembra ragionevole supporre che le soglie ridotte alla stimolazione von Frey viste nei modelli di neuropatia e di infiammazione riflettano una ridotta soglia di stimolazione meccanica o qualche altro disturbo sensoriale, ma la rilevanza di questa misura per il dolore o allodinia è stata messa in discussione (Ängeby-Möller et al., 1998; Le Bars et al., 2001; Bove, 2006).”

“Per ragioni pratiche ed etiche, i modelli sono di solito di durata relativamente breve mentre i soggetti clinici hanno spesso sofferto per anni, il che può avere conseguenze in diversi settori non rappresentati nei modelli animali. I modelli sono spesso basati su risposte evocate e sono solitamente utilizzati con un singolo  dosaggio del composto in esame. Questi fattori impongono alcune limitazioni nella modellazione e devono essere considerati quando i dati vengono interpretati.”

“Gli studi su animali sulla neuropatia periferica sono dominati da lesioni traumatiche, a differenza delle sperimentazioni cliniche in cui la regola è la dolorosa neuropatia diabetica o la nevralgia posterpetica (Rice et al., 2008). In molti altri aspetti, la modellazione del dolore neuropatico si discosta dalla situazione clinica. Gli animali di solito sono testati entro poche settimane dal trauma quando l’infiammazione può essere un fattore di confusione. Per quanto riguarda i segni e i sintomi, il dolore umano neuropatico è caratterizzato da dolore spontaneo associato a segni somatosensoriali positivi e negativi. “

“Nell’impostazione preclinica, i farmaci vengono generalmente testati in dose singola. In quella clinica, i farmaci contro il dolore neuropatico sono aumentati di dose nell’arco di giorni e settimane per motivi di tollerabilità e di conformità, e un’esposizione prolungata potrebbe essere richiesta per la piena efficacia clinica di alcuni farmaci. La distribuzione del farmaco può variare notevolmente a seconda se un composto è somministrato in dose singola o più volte per raggiungere lo stato stazionario. Una singola dose elevata può quindi portare ad effetti inattesi.”

“I modelli animali di solito sono ottimizzati e validati con analgesici clinicamente utilizzati e con la sensibilità ad un appropriato composto, per esempio, il gabapentin per un modello neuropatico o un FANS per un modello di artrite è quindi un prerequisito. Dal momento che questi trattamenti sono solo moderatamente efficaci nella clinica, questo principio di validazione può introdurre un bias positivo nella modellazione, favorendo specifici meccanismi analgesici, modelli o readouts sensibili agli effetti dei farmaci che possono anche essere estranei all’analgesia.”

“I trattamenti per il dolore neuropatico (SNL come modello di efficacia) hanno mostrato un quadro eterogeneo in cui gli antidepressivi erano o inefficaci o richiedevano livelli plasmatici 10-40 volte più elevati nei roditori, mentre gli anticonvulsivanti gabapentin, lamotrigina, carbamazepina erano attivi a concentrazioni 1-3 volte i livelli umani. I dati suggeriscono che i modelli animali, come utilizzati in questo studio, sono stati in grado di predire l’efficacia di alcuni ma non tutti i meccanismi affrontati dai farmaci.

E’ interessante che gli antidepressivi triciclici, che costituiscono la classe di farmaci globalmente più efficaci per il dolore neuropatico nel clinico (Finnerup et al., 2010), sono usciti miseramente nel modello di ratto, ma come detto in precedenza, né gli anticonvulsivanti né gli antidepressivi triciclici sono particolarmente efficaci nel dolore neuropatico di origine traumatica.”

“La mancanza di efficacia è stata stimata essere la causa di circa il 30% dei fallimenti in fase clinica dello sviluppo dei farmaci (Kola e Landis, 2004), e diversi potenziali analgesici hanno fallito nelle prove cliniche nel corso degli ultimi due decenni. Il recettore del tachichinine NK1 (sostanza P) è stato sostenuto da un ampio corpus di prove precliniche (Henry, 1993), ma gli antagonisti hanno dimostrato poca (Dionne et al., 1998) o nessuna efficacia (Hill, 2000) negli studi clinici. In termini di modelli animali, il recettore NK1 è stato un obiettivo particolarmente difficile a causa di differenze di specie nell’affinità per il recettore, che si sono avvalsi dei modelli di roditori stabiliti problematici. Alcuni antagonisti avevano importanti off-target quando usati nei roditori, e composti testati in specie rilevanti mostravano un’efficacia variabile (Berge and Ståhlberg, 1993; Karlsson et al., 1994; Urban and Fox, 2000). Un problema nel valutare il ruolo della modellazione animale in questo caso è che una buona dose di dati generati è stato pubblicato solo come abstract e nei procedimenti. I dati sugli animali della mia società (Astra Pain Control) che portano alla perdita di fiducia nell’ NK1 come target per l’analgesia non sono mai stati pubblicati.”

“Un altro approccio infruttuoso è stata la combinazione di morfina e del recettore antagonista per l’ N-metil-D-aspartato (NMDA) destrometorfano (MorphiDex) previsto da studi su animali di avere maggiore efficacia e sviluppo ridotto sviluppo alla tolleranza rispetto alla morfina da sola. Queste affermazioni non erano supportate in studi clinici, infatti, il basso livello di sviluppo di tolleranza visto in questi ed altri studi clinici rispetto alla caratteristica tolleranza rapida e totale sviluppo per roditori esposti a oppiacei sfida il viso e la validità di costrutto dei modelli di roditori per questo scopo (Galer et al., 2005). Fare previsioni esatte dal topo all’uomo per quanto riguarda gli effetti oppiacei è ulteriormente complicato da differenze di specie significative nel metabolismo dei farmaci (Handal et al., 2007).”

“Tra gli altri farmaci candidati che non sono riusciti nel corso degli studi clinici e modelli sperimentali umani di dolore nonostante i promettenti dati sugli animali sono l’antagonista del sodio 4030W92 (Trezise et al., 1998; Wallace et al., 2002; 2004; Liu et al., 2003) e l’inibitore di COX-2 GW406381 quando testato nella nevralgia posterpetica (Shackelford et al., 2009) e, più sorprendentemente, nell’osteoartrite (Boswell et al., 2008). Quest’ultimo composto, tuttavia, mostrava l’efficacia nel dolore acuto postoperatorio umano (Varner et al., 2009) e nell’emicrania (Wentz et al., 2008)”

“È tuttavia ragionevole assumere che la letteratura è sbilanciata in quanto i dati negativi hanno meno probabilità di essere pubblicati.”

“Un altro ostacolo al progresso scientifico è la variabile qualità metodologica e gli inadeguati standard riportati. Una revisione sistematica di progettazione sperimentale, analisi statistica e resoconto di 271 pubblicazioni biomediche che coinvolgono animali da laboratorio è stata recentemente pubblicata (Kilkenny et al., 2009). Gli autori hanno trovato che le procedure di randomizzazione e in cieco sono state riportate in meno del 15% degli studi. Solo il 59% ha dichiarato l’ipotesi o l’obiettivo dello studio e il numero e le caratteristiche degli animali utilizzati. Tra le pubblicazioni che hanno utilizzato metodi statistici, il 70% ha descritto i loro metodi e ha presentato i risultati con una misura di errore o di variabilità. La situazione è simile per i resoconti nel campo dell’analgesia (Rice et al., 2008). L’incertezza circa le procedure in cieco e la randomizzazione è un problema serio; un incontrollato bias sperimentale è stato suggerito essere uno dei maggiori problemi di interpretazione degli effetti dei farmaci e anche un fattore di attrito nel clinico (Lindner et al., 2003; Eisen
ach and Lindner, 2004; Lindner, 2007).”

Trapianti e modello animale

Il principale problema, nei trapianti, è di tipo immunologico, riguarda principalmente le reazioni immunitarie individuali e il meccanismo del rigetto. 
In questo campo il modello animale si è rivelato più volte un fallimento.
Ad esempio, Mark Davis, un immunologo della Stanford University, in un articolo su Science afferma:
“Centinaia di test clinici sono stati basati sulla cura del topo, ma quasi nessuno ha portato a delle cure per la specie umana”.
Prendiamo il caso della proteina basica della mielina (MBP).
Iniettare tale proteina nel topo causa una condizione simile alla sclerosi multipla, che può essere prevenuta con dosi di proteine che sopprimono la reazione immunitaria alla MBP. Tuttavia, i test clinici su volontari umani per verificare l’azione di queste proteine protettive furono interrotti perché peggioravano la condizione di alcuni pazienti affetti da sclerosi multipla.
Tali fallimenti hanno spronato Davis a richiedere che in studi di immunologia umana si usi un approccio che si basi sull’essere umano, specie dove gli studi richiedono grandi investimenti di capitali. [1]

Per quanto riguarda invece più specificatamente i trapianti, in una ricerca del 2009 [2], si cerca di trovare una risposta ai fallimenti dei trapianti di vena tramite l’utilizzo di equazioni differenziali ordinarie (ODE) e di modelli basati su agenti (ABM). Riportiamo qui sotto alcune parti del testo: 

“Work in our laboratory has sought to provide insight into the complexity of these interconnected processes through transcriptional profiling. Using a rabbit vein graft model and a novel rabbit-specific Agilent microarray platform (Santa Clara, CA), we examined the temporal variation in gene expression within the vein graft wall at 2 hours and 1, 7, and 28 days following implantation. At a false discovery rate of 0.10, 16% of genes were differentially expressed across all time points, with between 6 and 8% of the genes statistically different compared with normal vein at any single time point. Gene ontology analysis of these 497 differentially expressed genes demonstrates early downregulation of intracellular maintenance activities, which recover to near baseline levels in the 1- to 7-day time frame. Coincident with this recovery is an increase in cell metabolism and matrix synthesis, which is initially noted at 1 day, with further expansion through 28 days.“

Inoltre, come specificato in seguito nello stesso articolo, il problema é che “despite intensive investigation over the last two decades using standard reductionist approaches, no clinically effective therapies have emerged to reduce vein graft stenosis and improve long-term outcomes, quindi nessuna terapia efficace è emersa [da questo studio] per ridurre la stenosi del trapianto di vena e migliorare i risultati a lungo termine, oltretutto “[…] one of the primary flaws for limited progress in this field is not insufficient knowledge of the individual components of the system but the lack of a functional understanding of the interdependence and interaction of these components.”

Queste ultime parole sono di fondamentale importanza: “i difetti principali che causano il limitato progresso di quest’area di ricerca non sono le conoscenze insufficienti dei componenti individuali del sistema, ma la mancanza di comprensione sulla interdipendenza funzionale e le interazione tra questi componenti”. Questo significa che non basta sapere quello che si trova nei tessuti di una certa specie (geni e proteine) ma come questi interagiscono e come si organizzano influenzandosi tra loro i diversi componenti dei tessuti, i quali sono diversi da specie a specie, cosi’ come lo sono i geni, che producono proteine dei vari tessuti e che sono diverse, e interagiscono diversamente, da specie a specie.

Al fine di creare un modello di “supporto“ alle fasi precliniche(quindi prima di arrivare a testare qualcosa nell’essere umano), il team di ricercatori ha studiato e pubblicato due modelli matematici, le ODE che “establishing a series of mathematical relationships that describe the sequential change in the components of the system over time“ e i modelli ABM, “a mathematical approach for analysis of dynamic systems in which elements evolve through a number of discrete time steps governed by a set of rules based on the states of the neighboring cells. Rather than attempting to define the behavior of a complex system at the level of the continuum, via a system of coupled differential equations, ABM breaks the complex system into discrete components (or elements) that are governed by a set of simple rules. The complex behavior of the system emerges then from the local interaction of the elements“.

I modelli matematici sono estremamente sensibili, perché devono essere calibrati esattamente con i parametri della specie utilizzata. Eppure questi modelli vengono tarati sugli animali e non sugli esseri umani, anche se questi modelli dovrebbero servire per essere usati per ottenere informazioni sugli esseri umani e non sugli animali. Invece si può leggere che “based on animal experimentation by our group and others, the standard paradigm of vein graft remodeling has been established“. Anche se proprio nello stesso articolo gli stessi autori avevano dichiarato: “Il comportamento complesso del sistema emerge quindi dalle interazioni locali degli elementi”, dove quindi è chiaro che non si possono neanche estrapolare informazioni corrette quando si confrontano diversi organismi complessi, come il coniglio, il topo o l’uomo, che hanno al loro interno delle specifiche “interazioni locali di elementi”. La realtà dei fatti però è che addirittura gli stessi modelli ODE sono costruiti “on experimental data obtained from the rabbit vein graft construct“.

Inoltre nelle conclusioni dell’articolo i ricercatori riportano che “despite evolving evidence in animal models, the application of these concepts to the understanding of human vein graft failure remains poorly defined“, quindi anche i ricercatori stessi concludono che “nonostante risultati in evoluzione su modelli animali, l’applicazione di questi concetti alla comprensione del fallimento nel trapianto di vena negli esseri umani rimane poco chiara”, quindi l’uso di animali per creare sempre più modelli per l’uomo, non ha portato ad un aumento di conoscenze applicabili all’uomo, e i modelli animali, e quindi gli esperimenti sugli animali per creare tali modelli, anche in questo caso, non sono stati utili.

Metodi Alternativi

Possiamo distinguere tra i metodi alternativi che ci permettono di studiare la risposta dell’organismo in modelli: in vitro, matematici e microarrays.

Tra i metodi in vitro, utili in campo immunologico e di conseguenza anche per i trapianti, vi sono i saggi di diluizione limite, l’ELISpot e la citometria a flusso [3].

A questi si aggiungono metodologie in vitro che usano le cellule T per prevedere il rigetto o la tolleranza ai trapianti [4, 5, 6].

I microarray, utili anch’essi nell’ambito sia immunologico che proprio dei trapianti, “can provide nonbiased, simultaneous global expression patterns for more than 40,000 human genes across different experiments. High throughput microarray technology offers a means to study disease-specific transcriptional changes in tissue biopsy, peripheral blood, and biofluids.” [7].

Per quanto riguarda invece i modelli matematici, il modello iniziale viene sviluppato sulla base del virus HCMV (herpes virus), al fine di semplificarlo e facilitarne la dimostrazione della fattibilità. Solitamente latente nei pazienti con sistema immunitario non co
mpromesso, il virus si può riattivare e causare gravi problemi di salute dopo un trapianto, tra i quali rigetto acuto e cronico. La sua distribuzione in vari tessuti e organi, come midollo osseo, fegato, polmoni, e tratto gastrointestinale, infatti, ne permette facilmente la trasmissione dal donatore al ricevente.

In assenza di una terapia preventiva, l’HCMV si presenta nel circa 30-75% dei casi, a seconda del trapianto, dello stato dell’immunosoppressione e dello stato sierologico HCMV del ricevente.

Il modello si basa su una serie di equazioni differenziali ordinarie (ODE) in grado di denotare, tramite delle variabili, l’efficacia dei farmaci antivirali e immunosoppressori.

Un’equazione differenziale é un’equazione tra la funzione cercata, alcune sue specifiche derivate e i suoi argomenti (variabili indipendenti).
Un’equazione differenziale viene chiamata “ordinaria” quando la funzione cercata possiede solo argomenti reali [8].

Purtroppo, per convalidare il modello si necessita di sufficienti dati longitudinali, non in possesso dei ricercatori, che tuttavia procedono con una descrizione qualitativa, approssimando il rapporto tra alcuni parametri e i parametri stessi. Tramite studi di simulazione vi é poi la possibilità di verificare che il modello produce risultati simili a quelli osservati nei rapporti clinici. 

L’effettiva fattibilità del controllo dell’immunodepressione post trapianto viene basata sull’MPC (model predictive control), un algoritmo che rappresenta i comportamenti di sistemi dinamici complessi. Il passo successivo sarà quello di riassumere i risultati della simulazione e dell’algoritmo e quindi la creazione di un modello, che usa dati umani, per gli esseri umani [9]. 

Riferimenti Bibliografici:

[1] Leslie M. Biomedical research. Immunology uncaged. Science. 2010 Mar 26;327(5973):1573. doi: 10.1126/science.327.5973.1573.

[2] Berceli SA, Tran-Son-Tay R, Garbey M, Jiang Z. Hemodynamically driven vein graft remodeling: a systems biology approach. Vascular. 2009 May-Jun;17 Suppl 1:S2-9.

[3] “Because immune responses to transplant allografts are the main drivers of rejection, the ability to accurately quantitate antidonor immunity is an important goal in clinical transplantation. These allow for the prediction of presensitization to the transplanted tissue and the identification of rejection without needing more invasive tests.

In this chapter, we will review three methods currently used in transplantation research. Limiting dilution assays are a traditional tool. The evolution of these assays has brought about the ELISpot. Developments in flow cytometry are also contributing to the understanding of the composition of the cells involved in these immune responses.

We can therefore obtain a deeper understanding of the process of rejection and tolerance and their evolution with time. This chapter reviews in vitro assays in the context of transplantation, but the scientific applications of sensitive, accurate, and specific immunemonitoring reach well beyond this field of research.”

[Hernandez-Fuentes MP, Salama A. In vitro assays for immune monitoring in transplantation. Methods Mol Biol. 2006;333:269-90.]

[4] Benítez F, Najafian N. Novel noninvasive assays to predict transplantation rejection and tolerance: enumeration of cytokine-producing alloreactive T cells. Clin Lab Med. 2008 Sep;28(3):365-73, v. doi: 10.1016/j.cll.2008.07.002.

[5] Canivet C, Böhler T, Galvani S, Péron JM, Muscari F, Alric L, Barange K, Salvayre R, Negre-Salvayre A, Durand D, Suc B, Izopet J, Thomsen M, Rostaing L, Kamar N. In vitro mitogen-stimulated T-cell from hepatitis C virus-positive liver transplantation candidates, increases T-cell activation markers and T-cell proliferation. Transpl Immunol. 2008 May;19(2):112-9. doi: 10.1016/j.trim.2008.03.001. Epub 2008 Apr 3.

[6] Ekong UD, Miller SD, O’Gorman MR. In vitro assays of allosensitization. Pediatr Transplant. 2009 Feb;13(1):25-34. doi: 10.1111/j.1399-3046.2008.01042.x. Epub 2008 Nov 12.

[7] Zarkhin V, Sarwal MM. Microarrays: monitoring for transplant tolerance and mechanistic insights. Clin Lab Med. 2008 Sep;28(3):385-410, vi. doi: 10.1016/j.cll.2008.08.003.

[8] “Mathematik I/II für Wirtschaftswissenschaftler”, Dr. J.-F. Emmenegger, Departement für Quantitative Wirtschaftsforschung Universität Fribourg, 2009-2010.

[9] Banks HT, Hu S, Jang T, Kwon HD. Modelling and optimal control of immune response of renal transplant recipients. J Biol Dyn. 2012;6(2):539-67. doi: 10.1080/17513758.2012.655328. Epub 2012 Feb 1.

( http://www.ncsu.edu/crsc/reports/ftp/pdf/crsc-tr11-07.pdf )

[S.P.] [A.C.] [C.N.]

Nature contro i principali modelli animali

Nel 2012 è uscito su Nature un articolo, “Model Organism: There’s more to life than rats and flies”, che attacca l’uso dei modelli animali più usati nella ricerca biomedica.

In questa pubblicazione viene fatto notare come le specie maggiormente utilizzate, il topo (Mus Musculus), il verme nematode (Caenorhabditis elegans) e il moscerino della frutta (Drosophila melanogaster), siano usate dagli scienziati senza che essi debbano spiegare in alcun modo la loro scelta, addirittura ogni questione importante deve essere riprodotta in un modello prestabilito per essere accettata.

Purtroppo l’articolo termina auspicando l’uso di altre specie, e ciò dimostra un iper-affidamento nei confronti dei modelli animali, senza che l’autrice si sia minimamente resa conto di come anche altre specie possano avere le stesse limitazioni, come tra l’altro è dimostrato dai fatti.

Riportiamo alcune parti interessanti della pubblicazione:

 

[…] “E molte carriere, laboratori e riviste sono costruite sul primato del moscerino, del topo e del verme [1]. Ma studiare solo pochi organismi limita la scienza alle risposte che questi organismi possono fornire.”

[…] “Questi modelli sono miseramente adatti a questioni richieste da scienziati in campi emergenti come la biologia dello sviluppo ecologico – “eco-devo” – che si focalizza sulle influenze esterne nello sviluppo dei fenotipi.

Queste limitazioni hanno serie conseguenze. Le differenze tra il topo e gli umani possono aiutarci a spiegare perché i milioni di dollari spesi nella ricerca di base hanno prodotto frustrantemente pochi progressi clinici [1-4].” […]

“Per esempio, un trattamento sperimentale per la sclerosi multipla che, nel topo inbred [inincrociato],  migliorava i sintomi della malattia indotta, produsse risposte non previste – e talvolta avverse – nei pazienti umani. Il modello di topo inbred ha fallito nel rappresentare la diversità genetica e immunologica delle cellule umane, un difetto che era ovvio ripensandoci [2].

E’ tempo di pensare più criticamente su come usiamo i modelli. Questo significa articolare tacite assunzioni, come l’adeguatezza dei modelli roditori di rappresentare pienamente specifiche malattie umane.” […]

“Come ha fatto una manciata di specie a diventare dei modelli centrali? A volte si tratta più di convenienza che di pianificazioni strategiche” […]

“Il lievito, il topo, i polli e altre specie domestiche sono diventate le preferite nei laboratori perché erano già familiari ed accessibili.

L’esistenza di popolazioni da laboratorio di rane(Xenopus laevis) per l’uso nei test di gravidanza portò al loro reclutamento come modello per la ricerca sullo sviluppo.

Mentre la scienza basata sui modelli cresceva, queste specie diventavano sempre più dominanti, nonostante i talvolta casuali modi in cui sono stati inizialmente scelti. Abbiamo raggiunto un punto in cui, se i ricercatori non possono affrontare un problema usando una specie familiare, non possono studiarlo affatto [1].” […]

“Dato che la plasticità e il ruolo dell’ambiente di sviluppo sono particolarmente difficili da studiare nei modelli chiave, queste aree ricevono comparativamente poca attenzione [6].” […]

“Nel caso del morbo di Parkinson, i potenziali trattamenti sono spesso accertati misurando la funzione motoria in un ratto lesionato. Ma il modello di ratto non rappresenta chiaramente altri significativi sintomi del Parkinson che accadono nei pazienti umani, come il declino cognitivo. Questo potrebbe indirizzare i ricercatori lontano da questi aspetti della malattia.
Simili bias radicati nell’uso di particolari modelli potrebbero inoltre contribuire all’”interruzione di traslazione” delle cure alle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e la sclerosi laterale amiotrofica [3,4].

L’ inabilità dei roditori altamente inincrociati e talvolta geneticamente modificati di rappresentare pienamente la diversità dei pazienti e dei sintomi umani ha rimesso in discussione il potere di questi modelli, anche dentro le comunità di ricerca che servono [1-4,7].

Allo stesso tempo, gli effetti di variazioni ambientali apparentemente insignificanti, come i dettagli del maneggiamento dei topi, sono spesso trascurati [8].”

 

1. Davis, M. M. Immunity 29, 835–838 (2008).
2. von Herrath, M.G. & Nepom, G. T. J. Exp. Med. 202, 1159–1162 (2005).
3. Geerts, H. CNS Drugs 23, 915–926 (2009).
4. Schnabel, J. Nature 454, 682–685 (2008).
6. Bolker, J. A. BioEssays 17, 451–455 (1995).
7. Beckers, J., Wurst, W. & Hrabé de Angelis, M. H. Nature Rev. Genet. 10, 371–380 (2009).
8. Hurst, J. L. & West, R. S. Nature Methods 7, 825–826 (2010).

[Bolker J. Model organism: There’s more to life than rats and flies. Nature.  2012 Nov 1;491(7422):31-3. doi: 10.1038/491031a.]

FULL TEXT: http://211.144.68.84:9998/91keshi/Public/File/34/491-7422/pdf/491031a.pdf

Sostituzione dei modelli animali per lo studio della biologia dei tumori con un approccio basato sulla microfluidica multifunzionale

Scopo del progetto avviato dal professor J. Greenman della “University of Hull“ é quello di elaborare e ottimizzare un dispositivo a microfluidi per mantenere in vita cellule tumorali umane , da trattare con farmaci e testare con appropriate analisi tecniche. L’apparecchio potrà essere utilizzato sia dalle aziende farmaceutiche per ridurre e sostituire lo screening dei farmaci, sia dai medici come strumento per la personalizzazione delle strategie terapeutiche. Secondo i ricercatori tre saranno i vantaggi nella riuscita del progetto (che terminerà nel 2015): oltre alla già citata possibilità di diagnosi e terapie personalizzate, la sostituzione della sperimentazione e dei modelli animali, che secondo l’autore „only poorly replicate the physiology and metabolism of human beings“ e sono „of limited proven value“, e benefici a livello socio-economico, derivanti dal bisogno crescente di fornitori di biotecnologie.

[Professor John Greenman, University of Hull. Replacement of animal models for tumour biology with a multifunctional microfluidic-based approach] http://www.nc3rs.org.uk/researchportfolio/showcatportfolio.asp?id=285

[S.P.]