Archivi del mese: luglio 2013

Risposta a “La Stampa”: senza cavie guariremo!

Recentemente il giornale “La Stampa” ha pubblicato un articolo a favore della s.a., che accusa gli oppositori della sperimentazione animale su vari punti, che andremo adesso ad analizzare e smentire:

“Purtroppo, in Italia, il dibattito sulla sperimentazione animale è diventato una sorta di guerra di religione, con gli oppositori che ribadiscono tanti irrazionali «no». C’è però un dato che li smentisce: sfogliando l’albo dei vincitori del Premio Nobel per la medicina, balza subito all’occhio la fondamentale importanza delle cavie, che – almeno al momento – non possono essere rimpiazzate dalle cosiddette «pratiche alternative».”

In realtà guardando le cose da una prospettiva globale, comparando i successi con i fallimenti, si nota come l’animale non sia utile neanche a questo livello e che i pochi esiti positivi sono considerabili una casualità rispetto all’insieme infinitamente più ampio di quelli negativi.

Infatti, una systematic review del 2003 ha fatto notare come su 25.000 articoli di ricerca di base presi in esame, solo 5 hanno passato i trial clinici e solamente 1 (0,004%) ha condotto allo sviluppo di una classe di farmaci clinicamente utili nei 30 anni successivi alla pubblicazione del risultato scientifico di base (Contopoulos-Ioannidis et al. 2003).

Quindi, anche se la ricerca di base che fa uso di animali fosse “solo” il 50% di tutta la ricerca di base biomedica, avremmo comunque una frequenza di traduzione clinica della SA statisticamente irrilevante.
E infatti, secondo i dati del NIH (National Institutes of Health), la ricerca di base su animali riceve più del 50% dei fondi, ed è la branca maggiormente finanziata, anche più della ricerca etica condotta su volontari clinici umani (Greek & Greek 2010).

Inoltre, se già normalmente nei test regolatori si usano principalmente cellule animali al posto di cellule umane, modelli 2D al posto di modelli 3D e metodi isolati piuttosto che usati in maniera integrata, nella ricerca di base è ancora più difficile che avvenga il contrario, pertanto dando molta più attenzione a questi metodi e alla ricerca clinica condotta in maniera etica, potremo sicuramente aumentare il tasso di successi delle scoperte clinicamente rilevanti.

«Allo stato attuale delle conoscenze non esistono validi modelli alternativi. La ragione è semplice: il corpo umano è una macchina complessa, un sistema integrato dove le singole componenti parlano tra loro. Gli esseri viventi non sono composti a compartimenti stagni e, quindi, ciò che accade in un particolare distretto corporeo ha ripercussioni su tutto il resto dell’organismo».

Proprio per questo motivo il modello animale non è valido: le somiglianze infatti presenti con gli animali non sono motivo sufficiente per l’estrapolazione dei dati da una specie all’altra, perché anche i caratteri comuni hanno interazioni con il resto dell’organismo e sono quindi influenzati da quei moduli che differiscono, rendendo perciò inutile, per questo fine, l’esistenza di similitudini (Greek & Menache 2013).

In secondo luogo è possibile riprodurre le interazioni tra le varie componenti dell’organismo umano, alcuni esempi di questo tipo sono le co-colture integrate discrete multiorgano (Li 2009, Uzgare & Li 2013)  e i bioreattori multicompartimentali modulari (Kirkpatrick et al. 2007, Mazzei et al. 2010, Iori et al. 2012).

“Detto ciò, effettuare test unicamente su un gruppo di cellule isolate è davvero un’operazione riduttiva: l’approccio non ci dice nulla su quello che potrebbe essere l’effetto del farmaco altrove nell’organismo”

Vale lo stesso discorso di prima, è possibile mettere in comunicazione più tessuti di diverse parti del corpo al fine di verificare le interazioni tra gli organi e tra i tessuti, e quindi riprodurre la fisiologia di un organismo intero, così come avviene nei nuovi metodi alternativi.

“D’altra parte è bene ricordare che i camici bianchi non si dimostrano affatto insensibili al tema della dignità dell’animale. A dimostrarlo in modo eloquente sono le regole, sempre più restrittive, per circoscrivere il loro uso in laboratorio e per ridurre la loro sofferenza.”

Regole che impongono la decapitazione, l’elettrocuzione o la dislocazione cervicale a fine esperimento, la non obbligatorietà dell’anestesia e la stabulazione a vita sarebbero forse dignitose? (Direttiva 2010/63/EU)

Bibliografia:

Contopoulos-Ioannidis DG, Ntzani E, Ioannidis JP. Translation of highly promising basic science research into clinical applications. Am J Med. 2003 Apr 15;114(6):477-84.

Greek R, Greek J. Is the use of sentient animals in basic research justifiable? Philos Ethics Humanit Med. 2010 Sep 8;5:14. doi: 10.1186/1747-5341-5-14.

Greek R, Menache A. Systematic Reviews of Animal Models: Methodology versus Epistemology. Int J Med Sci 2013; 10(3):206-221.

Li AP. The use of the Integrated Discrete Multiple Organ Co-culture (IdMOC) system for the evaluation of multiple organ toxicity. Altern Lab Anim. 2009 Sep;37(4):377-85.

Uzgare AR, Li AP. New Paradigm in Toxicity Testing: Integrated Discrete Multiple Organ Co-cultures (IdMOC) for the Evaluation of Xenobiotic Toxicity. ALTEX, Proceedings of Animal Alternatives in Teaching, Toxicity Testing and Medicine, 2013 Jan;2(1):38-46.

Kirkpatrick J, Fuchs S, Hermanns I et al. Cell culture models of higher complexity in tissue engineering and regenerative medicine. Biomaterials 2007; 28(34):5193-5198

D. Mazzei, M. A. Guzzardi, S. Giusti, and A. Ahluwalia. A low shear stress modular bioreactor for connected cell culture under high flow rates. Biotechnol&Bioeng, 106(1): 127-137, 2010.

Iori E, Vinci B, Murphy E, Marescotti MC, Avogaro A, et al. (2012) Glucose and Fatty Acid Metabolism in a 3 Tissue In-Vitro Model Challenged with Normo- and Hyperglycaemia. PLoS ONE 7(4): e34704. doi:10.1371/journal.pone.0034704

Il modello animale fallisce sempre di più

Il tasso di fallimenti dei nuovi composti farmacologici che dalle fasi precliniche sperimentali su animali non si traducono in quelle cliniche su esseri umani per mancanza di efficacia o per tossicità, che veniva calcolato dalla US FDA (organismo di farmacovigilanza U.S.A.) nel 2004 al 92% dei casi, viene rivisto di recente con un ulteriore regressione di percentuale stimata al 95%.
Questo significa che su 100 nuovi farmaci sperimentali ideati e testati con successo su animali nelle fasi precliniche solo 5 superano i test clinici su esseri umani e di questi 5 nuovi composti che riescono a raggiungere il mercato ricordiamo che ben il 51% dii essi manifesta in fase post marketing, ovvero dopo la commercializzazione, gravi reazioni avverse (ADRs) in una popolazione umana eterogenea. Quindi, in ultima analisi, su 100 nuovi farmaci sperimentali, dopo miliardi di euro/dollari spesi ed ingenti (a dir poco) risorse umane ed animali investite, solo 2 o 3 risultano efficaci negli esseri umani.
Volendo leggere questa situazione palesemente fallimentare dell’attuale sviluppo farmaceutico in termini statistici, dobbiamo prendere atto che la riuscita di nuovi farmaci efficaci per gli esseri umani non raggiunge neanche una percentuale statistica significativa del 5%, ovvero il fatto che nuove molecole funzionino su ”modelli animali” e riescano poi a tradursi anche negli esseri umani lo dobbiamo niente più niente meno ad una semplice casualità fisiologica.

”I tassi di fallimento in fase clinica di sviluppo raggiungono ormai il 95% (Arrowsmith, 2012). Analisi di progetti dal Centre for Medicines Research (CMR) da un gruppo di 16 aziende (che rappresentano circa il 60% della spesa globale di R&S) nel CMR International Global R&D rivela che i tassi di successo di Fase II per i nuovi progetti di sviluppo sono scesi da 28% (2006-2007) al 18% (2008-2009), (Arrowsmith 2011a). Il 51% era dovuto ad insufficiente efficacia, il 29% era dovuto a motivi strategici, ed il 19% era da ricondurre a ragioni di sicurezza clinica o preclinica. La media del tasso di successo combinato di fase III e sottomissione è scesa a circa il 50% negli ultimi anni (Arrowsmith, 2011b). Nel loro insieme, le fasi cliniche II e III ora eliminano il 95% dei farmaci candidati”

Fonti:

[Hartung T, Food for Thought: Look Back in Anger – What Clinical Studies Tell Us About Preclinical Work, Altex 30, 3/13, 2013 – http://altweb.jhsph.edu/altex/30_3/FFTHartung.pdf]

[Arrowsmith J, A decade of change, Nature Reviews Drug Discovery 11, 17-18 (January 2012) | doi:10.1038/nrd3630 – http://www.nature.com/nrd/journal/v11/n1/full/nrd3630.html?WT.ec_id=NRD-201201]

[Moore T.J., Psaty BM. e Furberg CD. Time to act on drug safety. JAMA, 279: 1571-1573, 1998 – http://jama.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=187529]

[A.L.]

Ennesimo fallimento del modello animale nella cura dell’Alzheimer

NUOVO STUDIO PUBBLICATO SUL THE NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE RIVELA L’ENNESIMO CLAMOROSO FALLIMENTO DI UN NUOVO FARMACO SPERIMENTALE IDEATO PER IL TRATTAMENTO DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER

Ciò che gli scienziati avevano sperato essere un nuovo farmaco promettente nel trattamento della malattia di Alzheimer si è rivelato al contrario pericoloso nella sua fase finale del test sperimentale. 

Il trial randomizzato comprendeva 1.537 uomini e donne con probabile malattia di Alzheimer in tre gruppi di destinatari: placebo, 100 milligrammi di semagacestat e 140 milligrammi di semagacestat. Cambiamenti nella cognizione e funzionamento peggiorarono per tutti e tre i gruppi con i peggiori punteggi osservati nei gruppi che avevano ricevuto il farmaco sperimentale. 
I pazienti trattati con semagacestat avevano perso più peso ed accusavano addirittura più tumori della pelle, infezioni e problemi gastrointestinali, rispetto a quelli che avevano ricevuto il placebo.
Lo studio è stato interrotto precocemente a causa di problemi di sicurezza.
Il farmaco, prodotto dal noto colosso farmaceutico Eli Lilly, è un inibitore dell’enzima gamma-secretasi. Questo enzima è fondamentale nella generazione di beta-amiloide (A-beta), un peptide endogeno neurotossico che si ritiene sia coinvolto nella patogenesi della malattia di Alzheimer (AD). Negli animali, semagacestat riduce i Beta livelli nel plasma e nel cervello, dimostrando quindi una certa sostanziale efficacia.
Gli autori dello studio in questione così riferiscono sulla terminazione della fase III del trial clinico sperimentale su umani:

”Lo studio è stato interrotto prima del termine, sulla base di una raccomandazione dei dati e della sorveglianza di sicurezza […] Rispetto al placebo, semagacestat non migliora lo stato cognitivo, e i pazienti trattati con la dose più alta hanno avuto un notevole peggioramento della capacità funzionale. Semagacestat è stato associato ad eventi avversi, tra cui tumori della pelle ed infezioni.”

Fonti:

[Doody RS, Rama R, Farlow M, et al. A phase 3 trial of semagacestat for treatment of Alzheimer’s disease, N Engl J Med. 2013;369:341-350 –http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1210951]

[Imbimbo BP, Peretto I, Semagacestat, a gamma-secretase inhibitor for the potential treatment of Alzheimer’s disease, Curr Opin Investig Drugs, 2009 Jul;10(7):721-30 – http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19579178]

[A.L.]

Valvole meccaniche vs biologiche: le percentuali di sopravvivenza

Uno studio del Journal of the American College of Cardiology, durato quasi 20 anni, ha comparato la sopravvivenza di pazienti a cui erano state impiantate valvole cardiache meccaniche con quella di pazienti a cui erano state messe invece valvole cardiache biologiche.
La ricerca ha dimostrato che, dopo 15 anni, la percentuale di sopravvissuti tra gli under 65 era maggiore del 13% nel gruppo di pazienti che avevano ricevuto una valvola meccanica rispetto ad una biologica. Per gli over 65, invece, la situazione tra i due gruppi di pazienti era simile, ma anche qui si riscontrava una sopravvivenza maggiore del 2% nel gruppo di pazienti a cui era stata impiantata una valvola meccanica rispetto al gruppo che aveva ricevuto una valvola biologica.

Bibliografia:

Hammermeister K, Sethi GK, Henderson WG, Grover FL, Oprian C, Rahimtoola SH. Outcomes 15 years after valve replacement with a mechanical versus a bioprosthetic valve: final report of the Veterans Affairs randomized trial. J Am Coll Cardiol. 2000 Oct;36(4):1152-8.
[http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11028464]

 

Metabolismo dei farmaci da colture di epatociti umani: quanto siamo lontani dalla realtà in vivo?

[Ponsoda X, Donato MT, Perez-Cataldo G, Gómez-Lechón MJ, Castell JV. Drug metabolism by cultured human hepatocytes: how far are we from the in vivo reality? Altern Lab Anim. 2004 Jun;32(2):101-10.]

Full Text: http://www.frame.org.uk/atla_article.php?art_id=202&pdf=true

Abstract:

L’indagine del metabolismo è una tappa importante nel processo di sviluppo dei farmaci. Il metabolismo dei farmaci è un fattore determinante della variabilità farmacocinetica dei farmaci negli esseri umani. Fondamentale per questa sono le differenze fenotipiche, nonché le differenze genotipiche, nell’espressione degli enzimi coinvolti nel metabolismo dei farmaci. La variabilità genotipica è facile da identificare con metodi basati su reazioni a catena della polimerasi o su chip di DNA, mentre la variabilità fenotipica richiede la misurazione diretta delle attività enzimatiche nel fegato, o, indirettamente, la misurazione del tasso di metabolismo di un dato composto in vivo. C’è una grande variabilità fenotipica negli esseri umani, solo in piccola parte attribuibile a polimorfismi genici. Così, le misure dell’attività enzimatica in una serie di fegati umani, così come in studi in vivo su volontari umani, mostrano che la variabilità fenotipica è, di gran lunga, molto maggiore della variabilità genotipica. I modelli in vitro sono attualmente utilizzati per indagare il metabolismo epatico di nuovi composti. Le colture di epatociti umani sono considerate essere il modello più vicino al fegato umano. Tuttavia, il fatto che gli epatociti sono collocati in un microambiente che differisce da quello delle cellule nel fegato solleva la questione in che misura la variabilità del metabolismo dei farmaci osservato in vitro rifletta realmente quello nel fegato in vivo. Questo problema è stato esaminato attraverso lo studio del metabolismo del composto modello, l’aceclofenac (un farmaco analgesico/antinfiammatorio approvato), sia in vitro che in vivo. Gli epatociti isolati da biopsie epatiche programmate sono state incubati con l’aceclofenac, e i metaboliti formati sono stati studiati mediante l’HPLC. Ai pazienti è stato dato il ​​farmaco durante il corso del ricovero clinico, ed i metaboliti, largamente presenti nelle urine, sono stati analizzati. I dati in vitro e in vivo dello stesso individuo sono stati confrontati. C’era una buona correlazione tra la relativa abbondanza di metaboliti ossidati in vitro e in vivo (4′-OH-Aceclofenac + 4′-OH-diclofenac; rho di Spearman = 0,855), e l’idrolisi dell’Aceclofenac (diclofenac + 4′-OH Aceclofenac +-4′-OH-diclofenac; rho = 0.691), mentre la coniugazione del farmaco in vitro era leggermente inferiore rispetto a quella in vivo. Globalmente, il metabolismo dell’aceclofenac in vitro correlava con la quantità di metaboliti escreti nell’urina dopo 16 ore (rho = 0,95). Nel complesso, sebbene differenti tra i saggi, i dati del metabolismo in vitro/in vivo per ogni paziente erano sorprendentemente simili. Così, la variabilità osservata in vitro sembra riflettere genuinamente la variabilità fenotipica tra i donatori.

Tossicologia e QSAR

[Benfenati E, Pardoe S, Martin T, Gonella Diaza R, Lombardo A, Manganaro A, Gissi A. Using toxicological evidence from QSAR models in practice. ALTEX. 2013;30(1):19-40.]

Abstract:

I principali modelli QSAR forniscono una documentazione di supporto oltre ad un valore tossicologico previsto. Tali informazioni consentono al tossicologo di esplorare le proprietà delle sostanze chimiche, nonché di rivedere e di aumentare l’affidabilità delle previsioni di tossicità. Questo articolo si concentra sull’uso di queste informazioni nella pratica. Esploriamo la documentazione di supporto fornita dalle piattaforme EPISuite, T.E.S.T. e VEGA nel valutare il fattore di bioconcentrazione (BCF) di tre composti esempio. Ciascun composto presenta una sfida diversa: riconoscere alta affidabilità, analizzare il complesso di prove di affidabilità, e riconoscere l’incertezza. In ogni caso, per prima cosa descriviamo e discutiamo la documentazione di supporto fornita dalle piattaforme QSAR. Poi discutiamo i giudizi sull’affidabilità in tutti i settori da 28 tossicologi che hanno utilizzato queste informazioni di supporto e hanno commentato il processo. L’articolo dimostra sia l’utilizzo di modelli QSAR come strumenti per ridurre o sostituire la sperimentazione in vivo, che la necessità di competenze scientifiche e di rigore nel loro uso.

Full Text: http://www.altex.ch/resources/altex_2013_1_019_040_Benfenati2.pdf

Modello di ADME “su chip”

I test di screening di efficacia e tossicità dei farmaci utilizzando cellule in coltura sono stati ampiamente esibiti come un metodo alternativo ai test su animali nel campo della scoperta di nuovi farmaci. Tuttavia, stimare la farmacocinetica con un saggio basato su cellule convenzionali è difficile perchè il metodo non può valutare effetti inter-organo. In questo studio, abbiamo sviluppato un modello in vitro di ADME (assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione) per le previsioni di farmacocinetica mediante l’applicazione di tecniche di microfluidica. Finora abbiamo proposto un dispositivo di microfluidica di tipo a 2 compartimenti, che ricostruisce un rapporto fisiologico tra le funzioni di assorbimento e il metabolismo in vitro cocolturando cellule intestinali e cellule di fegato in microcompartimenti (Fig. A (a)) [1]. Per materializzare una via in vivo più dettagliata nel modello in vitro, stiamo sviluppando un modello avanzato di ADME su-chip che si compone di tre compartimenti e reti di microcanali con micro pompe per imitare una razio di superficie fisiologica area/volume di ogni organo e di una circolazione interna (Fig. A (b) e Fig. b). Il dispositivo ha una funzione di distribuzione in aggiunta alle funzioni di assorbimento e metabolismo. Questo modello ADME su-chip potrebbe essere una nuova piattaforma di saggi chimici per la scoperta farmacologica invece dei test sugli animali perché consente migliori saggi di efficacia e tossicità dei farmaci rispetto al sistema convenzionale di saggi basato su cellule.

Riferimenti:

  • [1] Kimura, H., et al.: Lab on a Chip, 8 (2008), 741-746.
  • [2] Sakai, Y., et al.: Altern. Animal Test. Experiment, 7 (2001), 47-58.

Figura A; (a) figura a sinistra (b) figura a destra:

Figura B

[Adattato da: http://www.microfluidics.iis.u-tokyo.ac.jp/r11005.html]

“Cells-on-a-chip” per studi di farmacocinetica e farmacodinamica

[Sung JH, Esch MB, Shuler ML. Integration of in silico and in vitro platforms for pharmacokinetic-pharmacodynamic modeling. Expert Opin Drug Metab Toxicol. 2010 Sep;6(9):1063-81.]

Abstract:

IMPORTANZA DEL SETTORE:
I modelli di farmacocinetica-farmacodinamica (PK-PD) consentono la previsione quantitativa della relazione dose-risposta. I recenti progressi nella tecnologia di microscala hanno permesso ai ricercatori di creare sistemi in vitro che imitano più da vicino i sistemi biologici. La combinazione di modellazione matematica e tecnologia di microscala offre la possibilità di una previsione più veloce, più economica e più accurata dell’effetto del farmaco con una ridotta necessità di animali o soggetti umani.

AREE COPERTE IN QUESTA RECENSIONE:
Questo articolo discute la combinazione dei sistemi di microscala vitro e i modelli di PK-PD per una migliore previsione di efficacia e tossicità del farmaco. In primo luogo, descriviamo il concetto di modellazione PK-PD e le sue applicazioni. Diverse classi di modelli PK-PD sono descritte. La tecnologia di microscala offre l’opportunità di costruire sistemi fisici che imitano i modelli PK-PD. I recenti progressi in questo approccio nel corso dell’ultimo decennio sono riassunti.

CIO’ CHE IL LETTORE OTTERRA’:
Questo articolo ha lo scopo di esaminare in che modo la tecnologia di microscala combinata con colture cellulari, nota anche come ‘cellule-su-un-chip’, sia in grado di conferire un nuovo aspetto agli attuali modelli PK-PD. I lettori potranno acquisire una conoscenza completa dei modelli PK-PD e della tecnologia di ‘cellule-su-un-chip’, con la prospettiva di come possono essere combinati per ottenere un effetto sinergico.

IL MESSAGGIO DA PORTARE A CASA:
La combinazione della tecnologia di microscala e dei modelli PK-PD dovrebbe contribuire allo sviluppo di una nuova piattaforma in vitro/in silico per lo screening di farmaci più fisiologicamente realistico.

Metodi alternativi per farmacocinetica e farmacodinamica: il progetto LIINTOP

Il „Progetto LIINTOP“ (LIver, INTestine, OPtimisation) nasce all’interno del „Programma STReP“ (Specific Targeted Research Projects) avviato dall’Unione Europea per sostenere progetti mirati nel campo della ricerca, „destinati a migliorare la competitività europea ed a soddisfare le necessitá della comunitá o delle politiche europee“ [1].

L’obiettivo principale del progetto è stato quello di fornire protocolli sperimentali e modelli in vitro per saggiare l’assorbimento, il metabolismo e la tossicità a livello intestinale ed epatico di molecole di interesse farmacologico. In particolare, sono stati sviluppati nuovi protocolli utilizzando mezzi di coltura a composizione definito (privi cioè del siero fetale bovino di composizione variabile e spesso ignota) utilizzando diverse linee parentali e cloni di cellule intestinali umane Caco-2. Inoltre, sono stati sviluppati nuovi e più complessi modelli di co-coltura di linee umane intestinali (Caco-2) ed epatiche (HepaRG) per combinare in vitro l’assorbimento e il metabolismo nell’intestino e nel fegato di molecole di interesse tossicologico e farmacologico. [2]

Il progetto ha avuto durata di 3 anni, dal 2007 al 2010 e ne hanno preso parte 15 concorrenti provenienti da tutta Europa (per maggiori informazioni [3]).

L’ editoriale di „Toxicology in Vitro” (26 (2012) 1241–1242 [4]), offre una panoramica delle cinque aree principali nelle quali sono divisi gli obiettivi scientifici e tecnologici:

 

1. Sviluppo di nuovi modelli in vitro e determinazione di quali degli esistenti e avanzati modelli di fegato e intestino in vitro sono appropriati e forniscono migliorate prestazioni nello screening e test di assorbimento e metabolismo di nuovi farmaci:

a) Confronto delle funzioni selezionate con il corrispondente tessuto umano normale ex vivo (vale a dire, epatociti primari umani o epitelio intestinale umano);

b) Ottimizzazione delle condizioni di coltura per rendere i modelli di funzioni specializzate stabili nel tempo. Pertanto, sarà usata una nuova strategia utilizzando agenti rimodellanti di cromatina (inibitori dell’istone deacetilasi) per la creazione di modelli basati sugli epatociti primari.

c) Nuovi approcci per generare linee di cellule epatiche umane metabolicamente competenti. Questo includerà la manipolazione genetica di linee cellulari esistenti (HepG2, HepaRG), le quali verranno trasfettate con fattori di trascrizione chiave, in modo da consentire un’adeguata espressione del fenotipo differenziato. Ciò includerà strategie per conferire capacità metaboliche anche ad altre linee cellulari (p.es. Caco-2).

d) Sviluppo di più complessi modelli di co-colture cellulari per combinare l’assorbimento e il metabolismo nell’intestino e nel fegato.

e) Ottimizzazione delle condizioni di coltura per differenziare cellule staminali adulte del midollo osseo in epatociti funzionali.

2. Identificazione di modelli in vitro del fegato e dell’intestino in grado di esprimere meglio il trasporto e il metabolismo dei farmaci:

a) Modulazione delle condizioni di coltura per la loro espressione.

b) Sviluppo di metodologie ad alto rendimento per il loro studio

3. Determinazione di bersagli cellulari e molecolari come endpoint di esposizione al farmaco nell’intestino e nel fegato per quanto riguarda:

a) Effetti sulla proliferazione cellulare (p.es. controllo del ciclo cellulare, apoptosi/necrosi)

b) Effetti sulle funzioni differenziate (p.es. la secrezione di proteine, giunzioni cellulari, l’espressione dei geni coinvolti nel trasposto e nel metabolismo)

4. Approcci in silico per modellare il fegato e l’intestino:

a) Sviluppo di modelli basati sul meccanismo della farmacocinetica

b) Esplorazione dell’utilità predittiva per i nuovi modelli in vitro

c) Identificazione delle aree che necessitano di un affinamento per i futuri modelli in vitro

5. Determinazione del potenziale di trasferimento dei sistemi in vitro sviluppati per il loro utilizzo all’interno del contesto industriale, che deriva dalla stretta collaborazione delle istituzioni accademiche nell’ambito del progetto di ricerca e le PMI.

 

La maggior parte di questi obiettivi sono stati raggiunti, inoltre i partecipanti hanno avuto l’ambizione di tracciare una strada fondamentale per stabilire metodi in vitro utilizzabili come strumenti per lo studio del meccanismo d’azione di composti (sia farmaci che contaminanti) sul sistema vivente umano.

Il „Progetto LIINTOP“ si é caratterizzato per la scelta di modelli in vitro umani, caratterizzandoli, elaborando protocolli ottimizzati per la manutenzione e la caratterizzazione delle cellule e per la valutazione di parametri specifici. Il lavoro svolto consentirà, se si procederà sulla strada delineata, di dare ulteriore forza a tali procedure per un uso più ampio in laboratori privati e pubblici, coinvolti nella sperimentazione di composti. La premessa è infatti l’adozione da parte di diversi laboratori degli stessi protocolli, secondo metodologie standardizzate. Solo questo, inevitabile passaggio consentirà il confronto dei risultati e la produzione di dati pertinenti e affidabili.

 

Note  

[1] http://www.crui.it/crui/sesto_programma/strep_tradizionali.htm

[2] http://www.inran.it/492/Ottimizzazione_di_modelli_vitro_di_fegato_e_intestino_per_studi_di_farmacocinetica_e_farmacodinamica__LIINTOP_.html

[3] http://www.liintop.cnr.it/index.php?PG=project&action=project

[4] Zucco F. „Optimisation of liver and intestine in vitro models for pharmacokinetics and pharmacodynamics studies. STREP – 037499 (Specific Targeted REsearch or innovation Project)”. Toxicol In Vitro. 2012 Dec;26(8):1241-2.

[S.P.]

Metodi alternativi, interazioni tra farmaci e farmacodinamica

[Huang J, Niu C, Green CD, Yang L, Mei H, Han JD. Systematic Prediction of Pharmacodynamic Drug-Drug Interactions through Protein-Protein-Interaction Network. PLoS Comput Biol. 2013;9(3):e1002998.]

Full Text: http://www.ploscompbiol.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pcbi.1002998#s4

L’articolo propone un nuovo modello basato su un algoritmo per identificare le interazioni fra farmaci (DDIs).

Nell’Abstract leggiamo che

“L’identificazione delle interazioni tra farmaci (DDI) è una sfida importante nello sviluppo dei farmaci. I tentativi precedenti hanno stabilito approcci formali per le interazioni farmacocinetiche (PK) tra farmaci, ma non vi è una soluzione fattibile per quelle farmacodinamiche (PD), perché il punto finale è spesso un evento avverso grave, piuttosto che un cambiamento misurabile nella concentrazione del farmaco. Abbiamo sviluppato una metrica “S-score” che misura la forza della connessione di rete tra i targets del farmaco per prevedere DDIs farmacodinamiche. Utilizzando interazioni tra farmaci farmacodinamiche conosciute come golden standard positivi (GSP), abbiamo osservato una correlazione significativa tra l’”S-score” e la probabilità che un’interazione farmacodinamica si verifichi. La nostra previsione ha superato i metodi esistenti, come convalidato da due GSP indipendenti. L’analisi di dati provenienti dagli effetti collaterali clinici ha suggerito che i farmaci che hanno predetto interazioni farmacologiche hanno effetti collaterali simili. Abbiamo inoltre incorporato l’evidenza di effetti collaterali clinici con il l’”S-score” per aumentarne la specificità e sensibilità attraverso un modello probabilistico bayesiano. Abbiamo previsto 9.626 potenziali interazioni farmacodinamiche con una precisione del 82% e alla ripetizione del 62%. È importante sottolineare che il nostro algoritmo ha fornito l’opportunità di meglio comprendere i potenziali meccanismi molecolari o gli effetti fisiologici alla base delle interazioni farmacologiche, come dimostrano i casi di studio.

Come viene detto nell’articolo, i casi di interazioni tra farmaci sono una causa importante per quello che riguarda le reazioni avverse (ADR), soprattutto in pazienti che utilizzano più farmaci contemporaneamente. Uno studio recente ha mostrato che 1 paziente su 25 è potenzialmente a rischio di DDI. Circa il 70% delle interazioni sono clinicamente rilevanti e contribuiscono alla maggiore comparsa di ADRs. Le DDI possono venir categorizzate in tre tipi:

– farmaceutiche, a causa di un’incompatibilità fisica o chimica;

– farmacocinetiche, quando un farmaco altera l’assorbimento, la distribuzione, metabolismo o escrezione di un altro, cambiando le concentrazioni di farmaco che arrivano ai siti bersaglio;

– e farmacodinamiche, se un farmaco ha un effetto antagonista, additivo, sinergico o farmacologico indiretto su un altro.

Gli studi correnti si basano principalmente su interazioni farmacocinetiche, tuttavia un grande numero di DDIs sono presumibilmente farmacodinamiche. In genere, il potenziale di interazioni farmacodinamiche si basava principalmente su casi sporadici riportati durante gli studi clinici. Un certo numero di DDIs farmacodinamiche non sono comunque identificabili nella fase iniziale e questo può provocare grandi perdite per la salute umana. Finora, le soluzioni di calcolo per prevederle hanno usato due approcci distinti: il primo misura la similitudine delle informazioni sui farmaci, il secondo approccio è basato sulla conoscenza delle DDI dalla letteratura scientifica, una banca dati elettronica di cartelle cliniche è l’”Adverse Event Reporting System” della FDA. Entrambi gli approcci presentano diverse limitazioni, quali la necessità di distinguere le classi dei farmaci e l’incapacità di gestire nuovi farmaci per i quali esistono solo casi limitati. Ancora più importante, essi considerano raramente le azioni dei farmaci e dei loro effetti clinici nel contesto delle reti biologiche complesse. Per ovviare a questa situazione i ricercatori hanno adottato una strategia di farmacologia di rete, che considera le azioni dei farmaci e dei loro effetti clinici nel contesto di sistemi di rete molecolari e proposto un algoritmo per prevedere sistematicamente interazioni farmacodinamiche. Le previsioni concordano con simili effetti collaterali clinici tra

i farmaci e il metodo non fornisce solo un elenco di potenziali interazioni farmacodinamiche, ma anche l’opportunità di un ulteriore comprensione del meccanismo molecolare e degli effetti fisiologici alla base delle DDI.

Per determinare se la strategia farmacologica di rete può essere utilizzata per comprendere le DDI, più specificamente le DDI farmacodinamiche, i ricercatori hanno prima esaminato se queste si riflettono a livello di rete. A questo scopo hanno esaminato la distribuzione dei target (nella “DrugBank” definiti come “una proteina, alla quale un dato farmaco si lega, con conseguente alterazione della normale funzione della molecola e un desiderato effetto terapeutico”) delle coppie di farmaci con DDI farmacodinamiche conosciute tra i 1.249 farmaci approvati dalla FDA raccolti nella “DrugBank” in una rete di interazioni proteina-proteina (PPI) dall’HPRD. Il collegamento di eventuali possibili coppie di farmaci è stato misurato dal percorso più breve minimo tra i loro target nella rete PPI. Le coppie di farmaci con distanza minima uguale a zero sono quelle che condividono almeno un target sovrapposto e sono quelle che hanno maggiori probabilità di formare DDIs. I ricercatori hanno scoperto che minore è la distanza minima tra due target dei farmaci, maggiore è la possibilità che si verifichi una DDI farmacodinamica, il che suggerisce che le interazioni farmacodinamiche possono venire individuate a livello di una rete PPI.

Basandosi su queste osservazioni, i ricercatori hanno sviluppato un algoritmo in grado di predire le DDI farmacodinamiche attraverso le reti PPI. In primo luogo, i farmaci sono stati mappati su una rete PPI basata sulla loro associazione farmaco-target, poi il PPI è stato misurato tramite il coefficiente di correlazione di Pearson’s (PCC) del profilo di espressione dei geni codificati attraverso 79 tessuti umani. È stato poi definito un sistema target-centrato per ogni farmaco, il quale include i target dei farmaci e la loro proteina più vicina nella rete PPI. Infine è stato definito un punteggio di connessione di sistema (S-score) per descrivere la connessione tra due sistemi target-centrati nella rete PPI.

Per valutare il loro sistema di punteggio, i ricercatori hanno calcolato gli „S-score“ per tutte le possibili coppie dei farmaci presenti sulla lista di quelli approvati dalla FDA. Utilizzando come GSP le interazioni farmacodinamiche raccolte nella „DrugBank“, valutando in primo luogo la correlazione dell’“S-score“ e della probabilità che un’interazione farmacodinamica si verifichi. A dimostrazione, la frequenza delle DDI farmacodinamiche diminuiva quando l’“S-score“ risultava più basso tra le coppie di farmaci. Inoltre vi era un’alta correlazione tra l’“S-score“ e l’arricchimento del GSP, il che prova che la probabilità che una DDI farmacodinamica si verifichi é alta, se i targets dei due farmaci sono connessi nella rete PPI e co-espressi negli stessi tessuti. Successivamente, sono state esaminate le prestazioni dell’algoritmo tramite curve ROC (caratteristiche operative del ricevitore). Le previsioni sono poi state comparate con metodi precedentemente pubblicati.

Per validare ulteriormente le loro previsioni, i ricercatori hanno esaminato gli effetti fenotipici delle loro previsioni utilizzando i dati di effetti collaterali pubblicati. Sulla base di constatazione che simili disturbi fenotipici indicano la sovrapposizione di meccanismi molecolari, i ricercatori si sono chiesti se due farma
ci hanno risultati clinici simili se risultano altamente connessi in un sistema target-centrato. Le connessioni fenotipiche sono state misurate tra due farmaci con simili effetti collaterali (P-score) tramite un algoritmo: le coppie di farmaci con alto „S-score“ sono risultate essere quelle con fenotipo più simile, pertanto l’“S-score“ calcolato utilizzando reti PPI potrebbe in parte spiegare la sovrapposizione fenotipica dei farmaci.

Per aumentare ulteriormente le prestazioni di previsione, i ricercatori integrano le prove provenienti dall’”S-score” e dal “P-score” come un rapporto di verosimiglianza (LR), utilizzando un modello probabilistico bayesiano. Come risultato, osservano un netto miglioramento della predizione in specificità e sensibilità.

I farmaci più a rischio di causare DDIs farmacocinetiche sono gli antidepressivi triciclici (TCA), che vengono utilizzati principalmente nel trattamento clinico dei disturbi dell’umore, come il disturbo depressivo maggiore e la distimia.

I pazienti ai quali vengono prescritti farmaci antidepressivi hanno più possibilità di sviluppare delle DDIs, in quanto i farmaci vengono spesso prescritti per mesi o anni e vengono utilizzati in concomitanza con altri per controllare i sintomi secondari che tali pazienti avvertono. I meccanismi di interazione rimangono poco chiari e vi è la necessità di prestare particolare attenzione nell’utilizzo di terapie concomitanti agli antidepressivi triciclici. Ad esempio, una potenziale interazione è stata predetta tra due triciclici, la desipramina e la trimipramina. È stato riportato che queste interazioni incrementano l’intervallo QT portando al serio pericolo di gravi aritmie ventricolari. Nel loro modello di rete, i sistemi target-centrati di questi due farmaci sono sovrapposti e connessi con correlata espressione genica cross-tissutale, indicata dall’”S-score”. È interessante notare, che entrambi i sistemi target-centrati dei farmaci sono arricchiti di geni associati dalla “Gene Ontology” “regolazione del battito cardiaco”, che potrebbe aiutare a spiegare le basi molecolari del potenziale esito della somministrazione contemporanea dei due farmaci.

Un altro esempio è la predetta interazione esistente tra la zonisamide, un anticonvulsionante sulfamidico, e la memantina, un derivato della amantadina, utilizzato nel trattamento dell’Alzheimer. I due farmaci non hanno target comuni, tuttavia presentano simili espressioni cross-tessuto, tra i loro sistemi target-centrati, e simili effetti collaterali.

Anche se non segnalato in “DrugBank”, recentemente TWOSIDES ha riportato che questa coppia di farmaci ha un’associazione significativa con l’effetto collaterale della trombocitopenia, che non può essere attribuito ad un singolo farmaco. Le analisi condotte dai ricercatori hanno infatti mostrato che i sistemi target-centrati dei due farmaci presentano geni altamente espressi nelle piastrine. Questa interazione non può venir predetta basandosi solamente sulla conoscenza dei target dei singoli farmaci e nessun set di geni target, sempre dei singoli farmaci, è associato al sintomo della trombocitopenia. In coerenza con i loro effetti desiderati, in ogni caso, i target delle ematine sono arricchiti per il “N-metil-D-aspartato selettivo del complesso recettore del glutammato”, che è coinvolto nella malattia dell’Alzheimer, mentre i target della zonisamide sono arricchiti per il “complesso canale del sodio regolato dal voltaggio”, coinvolto nell’epilessia.

Discussione

“Nonostante i molti metodi precedentemente applicati per identificare potenziali interazioni tra farmaci sotto differenti aspetti, questi approcci hanno varie limitazioni. Per la prima volta presentiamo un algoritmo capace di predire sistematicamente DDI farmacodinamiche considerando l’azione dei farmaci e i loro effetti clinici nel contesto delle complesse reti PPI. L’integrazione di varie fonti di informazione, quali i targets del farmaco, la topologia della rete, correlazioni dell’espressione genica cross-tessuto e effetti collaterali simili infatti danno origine ad una migliore performance nella predizione delle DDI rispetto a quelle ottenute da sorgenti individuali di dati. Infine, il nostro modello di rete offre l’opportunità di comprendere meglio i potenziali meccanismi molecolari o gli effetti fisiologici alla base delle DDIs.

Tuttavia, come altre tecniche computazionali in questo campo, esiste un gap tra le nostre teoretiche previsioni scientifiche e l’applicazione clinica. Primo, limitate dall’attuale conoscenza della rete molecolare e la robustezza del sistema biologico stesso, le nostre

previsioni forniscono solo la relativa probabilità del verificarsi di una DDI farmacodinamica. Secondo, attualmente solo un paio di dati sono stati utilizzati per la predizione, ma il potere di previsione è destinato a migliorare se integrato con altri dati clinici, qualora disponibili, e completato con i recentemente pubblicati metodi per predire le DDIs. Ultimo, le potenzialmente predette DDIs farmacodinamiche non sono necessariamente sempre dannose, ma possono anche portare benefici. Anche se gli attuali GSPs includono solo un basso numero di interazioni benefiche, queste interazioni possono verificarsi con lo stesso meccanismo – sovrapposizione di rete e in tal caso possono venir previste grazie al nostro metodo. Con questi ulteriori miglioramenti, il nostro metodo può venir potenzialmente applicato nella scoperta e sviluppo di farmaci, servendo da screen sistematico in silico per fornire una lista di potenziali DDI’s farmacodinamiche in un modo economicamente efficace o venir applicato per ricontrollare le avvertenze di interazioni di farmaci, per i farmaci commercializzati. Il nostro metodo può anche rilevare potenziali meccanismi o effetti alla base delle DDIs e fornire le necessarie prove scientifiche per ulteriori indagini dei farmaci durante gli studi clinici. Questi meccanismi potrebbero essere preziosi per polifarmaci razionali tra i farmaci esistenti per nuovi scopi per migliorare i benefici delle combinazioni, evitando interazioni dannose.”

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