FAQ

1. Cos’è la Sperimentazione Animale?

“Sperimentazione Animale” (SA) è un termine ombrello che racchiude tutte quelle tecniche di ricerca che fanno uso di animali vivi.

2. Qual è la vostra opinione sulla sperimentazione animale?

Secondo noi è una metodologia molto limitata, il troppo affidamento ad essa può causare danni sia direttamente, attraverso una mancanza di protezione della salute umana da parte di composti nocivi, che indirettamente, rallentando lo sviluppo e precludendo potenziali cure che, inefficaci o tossiche sui modelli animali, potrebbero risultare valide se testate utilizzando adeguate tecnologie avanzate.
Non a caso, nella ricerca preclinica i risultati sono allarmanti: secondo la FDA (ente statunitense che si occupa dell’immissione dei farmaci), il 92% delle sostanze che passano i test su animali non passa quelli su umani (altre fonti parlano addirittura del 93-96%[2]), principalmente a causa di problemi di sicurezza o di mancanza di efficacia [1].
Inoltre, il 51% dei farmaci commercializzati presenta gravi reazioni avverse che non si erano riscontrate in precedenza [3], il che va a sommarsi al risultato precedentemente dato.
Ogni anno gli effetti collaterali dei farmaci danneggiano 1,5 milioni di persone al punto da richiedere un’ospedalizzazione e 100 000 muoiono solo negli USA [3]. Successivi studi hanno dimostrato che negli USA il numero dei morti per cause iatrogene è di 225 000 all’anno, di cui 106 000 non sono legate a errori nella prescrizione nè di altro tipo, il che ci conferma il dato allarmante [4].
Uno studio del 2012 ha dimostrato che i test su animali hanno omesso nell’81% dei casi di segnalare 93 gravi reazioni avverse legate a 43 farmaci presi in esame che hanno seriamente danneggiato i pazienti a cui furono somministrati. Tutto ciò, nonostante agli animali vengano somministrate dosi elevate e per lunghi periodi, proprio allo scopo di far emergere anche i potenziali effetti collaterali rari [5].
Pertanto, riteniamo sia opportuno sostituire al più presto questa metodologia con metodi più efficaci.

3. E per quanto riguarda la ricerca di base e traslazionale?

In questo caso il danno è indiretto, una metodologia limitata infatti potrebbe rallentare il progresso e lo sviluppo di terapie efficaci per l’Uomo.
I dati del National Institutes of Health (NIH) ci mostrano come la ricerca di base su animali venga maggiormente finanziata rispetto a quella su volontari clinici e con altre metodologie. Si stima invero che il 75% circa della ricerca di base faccia uso di animali, il 45% su mammiferi e il 30% su specie non-mammifere [6].
Gli animali, infatti, permettono di ottenere dati omogenei, puliti, standardizzati e adatti ad una veloce pubblicazione, il che li rende più utilizzati dai ricercatori, nonostante ciò non comporti necessariamente una maggiore probabilità di applicazione clinica [6], anzi, secondo Rothwell, la maggior parte dei fallimenti nella ricerca di base può essere attribuita all’uso di modelli animali [7].
Difatti, i fallimenti nella ricerca di base sono molto elevati, secondo quanto ci riporta uno studio del 2003, “Translation of highly promising basic science research into clinical applications”, che ci descrive i risultati di una ricerca algoritmica al computer di tutti gli articoli di ricerca di base pubblicati in sei delle principali riviste scientifiche (Nature, Cell, Science, Journal of Biological Chemistry, Journal of Clinical Investigation, Journal Experimental Medicine) dal 1979 al 1983.
Dei 25.190 articoli ricercati, 562 (2%) avevano al loro interno parole quali ‘therapy’, ‘therapies’, ‘therapeutic’, ‘therapeutical’, ‘prevention’, ‘preventative’, ‘vaccine’, ‘vaccines’, o ‘clinical’, 101 (0,4%) avevano qualche pretesa di potenziale applicazione agli umani, 27 hanno portato a una prova clinica, solo 5 hanno passato i trial clinici e solamente 1 (0,004%) ha condotto allo sviluppo di una classe di farmaci clinicamente utili (gli inibitori dell’enzima convertitore dell’angiotensina) nei 20 anni successivi alla pubblicazione del risultato scientifico di base [8].

Approfondimento sulla ricerca di base

4. Qual è la vostra opinione sull’attuale iter di validazione dei metodi alternativi?

Secondo noi, considerate le limitatezze del modello animale, non si può non criticare un metodo di validazione che si basa su di esso.
Un esempio può mostrare al meglio l’attuale situazione: nella sostituzione del Draize Test, vi è stata la necessità di effettuare una seconda validazione, non per colpa dei metodi sostitutivi, ma per i falsi positivi che il Draize test tendeva a dare [9].
Infatti il Cytosensor Microphysiometer, che doveva rimpiazzare il Draize Test, diede un risultato inizialmente inconcludente, dato che si confrontò il suo risultato con quello del Draize test stesso, finchè non fu validato grazie a meta-analisi retrospettive [10].
Ciò dimostra inequivocabilmente che comparare i dati di un metodo alternativo con quelli di un modello che non rappresenta al meglio l’Uomo, come l’animale, può darci risultati fuorvianti sulle potenzialità della metodologia che si sta valutando.
Pertanto, ci auguriamo: in primis che l’attuale iter di validazione venga sostituito completamente dalla validazione attraverso meta-analisi retrospettive derivanti da dati conosciuti sull’Uomo, in secondo luogo che i tempi di validazione vengano accelerati, e infine che venga data maggiore attenzione ai metodi che non utilizzano derivati animali e ai potenziali replacement, al fine di ottenere nel minor tempo possibile metodologie più sicure per la tutela della salute umana.

5. Cosa ne pensate degli attuali criteri di scelta dei modelli animali?

Riteniamo che seguano criteri di praticità e di economicità, piuttosto che di scientificità e di maggiore predittività del modello.
Infatti, nonostante le maggiori somiglianze con i primati, il 95% delle volte la specie scelta nella SA è il topo, per la maggior facilità di manipolazione e in base alle loro caratteristiche di mole e di facilità di allevamento.

6. Cosa ne pensate della scelta dei modelli animali in base ai caratteri conservati tra le specie, la somiglianza dei sintomi o delle loro cause?

Riteniamo che si tratti di un criterio molto semplificato e limitato, che ignora la proprietà dell’animale di essere un sistema complesso.
I sistemi complessi sono costituiti da molti componenti che possono essere raggruppati in moduli che interagiscono tra loro, hanno proprietà emergenti che derivano dalle interazioni tra le parti, sono resistenti ai cambiamenti, esibiscono ridondanza nei loro componenti, sono auto-organizzati, danno risposte non lineari, hanno livelli gerarchici di organizzazione, interagiscono con l’ambiente, hanno cicli di retroazione e sono dinamici [11].
Gli animali (Uomo compreso), dunque, sono tipici esempi di sistemi complessi a molti livelli, dotati di proprietà emergenti, modulari e non lineari. Una perturbazione nel sistema S1 che provoca un effetto A, non necessariamente porterà allo stesso effetto A nel sistema complesso S2, a prescindere da quanto “simili” possano essere i sistemi S1 ed S2.
Mentre nello studio dei processi biochimici di base non c’è bisogno di “scomodare” l’organismo intero nella sua complessità in quanto l’esame del processo conservato avviene allo stesso livello di organizzazione o nello stesso modulo ed è soggetto di studio del riduzionismo, l’uso del modello animale quale modello causale analogo (CAM) ovvero come modello predittivo per l’Uomo nello studio di patologie umane complesse, reazione a farmaci e vaccini, dispositivi, xenobiotici, ecc. implica spesso che il tratto o la risposta in fase di studio sia situato a livelli più alti di organizzazione, si trovi in un modulo diverso, o sia influenzato da altri moduli [12] e dunque la mera presenza di processi conservati tra le specie diviene insufficiente per l’estrapolazione dei dati all’Uomo.
Ne consegue che, nonostante alcuni scienziati cerchino di associare al farmaco che viene testato la specie animale che più probabilmente reagirà come l’Uomo, questa strategia ha delle forti limitazioni, poiché animali ed esseri umani sono sistemi complessi e gran parte di ciò che occorre sapere per determinare come reagiranno gli esseri umani si potrà sapere soltanto quando il farmaco sarà stato testato sugli esseri umani. Pertanto è pressoché impossibile sapere a priori quali specie animali avranno una reazione simile a quella umana. Per di più, anche la profonda variabilità della risposta umana limita le possibilità predittive dei modelli animali. Lavery afferma che, per queste ragioni, i modelli animali sono indicatori scadenti della risposta umana [13] e non sono adatti per le“dimostrazioni di principio” [14]. Ecco come riassumono la situazione Giri e Bader:
“Chiaramente, i test dei farmaci sugli animali sono irrealistici e provocano reazioni impreviste nei trial clinici sull’uomo” [15].
Questa limitatezza della capacità predittiva nello sviluppo dei farmaci si estende ai modelli animali delle malattie. Enna e Williams hanno rilevato che un ostacolo importante nella medicina traslazionale – la branca della medicina che traduce le conoscenze derivanti da aree di studio diverse in interventi efficaci per la salute pubblica – è il fatto che la maggior parte dei modelli animali delle malattie non ha un valore predittivo per l’Uomo [16]. Shapiro ha messo in rilievo lo stesso problema per quanto riguarda l’utilizzo di topi per studiare l’enfisema [17], mentre Rangarajan e Weinberg hanno segnalato l’esistenza di numerose differenze genetiche tra i tumori dei topi e quelli umani, asserendo che esistono «differenze fondamentali» nella patofisiologia dei tumori [18]. L’équipe di Lindl ha studiato gli esperimenti sugli animali realizzati in Germania dal 1991 al 1993, rilevando che tutte le ipotesi derivate dai modelli animali nel corso di questo periodo si sono dimostrate false per gli esseri umani oppure non sono state testate [19].

7. Quali sono le principali differenze a livello genetico con gli animali?

Le differenze nella composizione genetica possono riguardare:
la presenza (o assenza) di certi geni.
la presenza (o assenza) di certi alleli.
il background genetico e i geni modificatori che agiscono sui geni influenzati dai farmaci o dalla malattia.
la regolazione e l’espressione dei geni.
le reti di geni.
lo splicing alternativo, che permette a un gene di formare o di contribuire a formare molte proteine diverse.
le proteine e le interazioni tra proteine.
le interazioni tra geni e proteine.
l’evoluzione di vecchi geni che li porta a svolgere nuove funzioni.
il trasferimento genico orizzontale (TGO). Il TGO avviene quando i geni di un organismo vengono incorporati in un altro organismo senza che l’organismo ricevente discenda da quello donatore. Per esempio, la resistenza agli antibiotici può avvenire mediante TGO.
le caratteristiche epigenetiche. L’epigenetica è il settore relativamente nuovo che studia i cambiamenti dell’espressione genica che possono essere ereditati e che avvengono senza modifiche della sequenza di DNA coinvolta. Per esempio, a causa di influenze ambientali, un gene regolatore può essere modificato in modo tale da attivarsi o disattivarsi permettendo a una malattia di manifestarsi.
• la presenza di mutazioni geniche e cromosomiche come i polimorfismi del singolo nucleotide, le varianti del numero di copie, le duplicazioni, le inversioni, le delezioni e le inserzioni [20].
• la possibile perdita o acquisizione di determinati geni durante l’evoluzione.
• l’alterazione di geni o cromosomi.
• le differenze rispetto alle forme di uno stesso gene.
• la presenza di pseudogeni (geni che hanno perso la loro funzione nel corso dell’evoluzione).
• la diversità di geni per svolgere la stessa funzione.
• le differenze nelle reti di regolazione genica.
• i miRNA.
Inoltre, nonostante abbiamo in comune il 98-99% del nostro DNA con lo scimpanzè (la specie geneticamente più vicina a noi), questa differenza dell’1-2% diventa un 80% di discordanza nel passaggio da geni a proteine [21].

8. Quali sono i limiti dei modelli geneticamente modificati?

La modificazione genetica dei modelli animali tramite l’aggiunta di geni esogeni (animali transgenici) o tramite l’inattivazione o la delezione di geni (animali knockout) è spesso effettuata per renderli dei modelli più vicini all’essere umano. Tuttavia, oltre ad essere molto tecnicamente difficile da raggiungere, tale modifica può non consentire conclusioni chiare a causa di un gran numero di fattori, tra cui quelli che riflettono la complessità intrinseca degli organismi viventi, quali la variabile ridondanza di alcune vie metaboliche tra specie.
I modelli basati sull’uso di knockout genico sono spesso deludenti. Nel 30% dei knockout, non vengono osservati effetti fenotipici, forse a causa delle osservazioni insufficienti degli animali o perché il meccanismo di ridondanza maschera gli effetti del knockout. In altri casi, l’interferenza del gene, che è stato eliminato con altri geni, è troppo complessa e non può essere analizzata facilmente, non portando ad alcuna chiara conclusione [22].
Spesso, infatti, nei modelli animali geneticamente modificati, l’organismo esprime reazioni che annullano, compensano o modificano la risposta geneticamente programmata [23].
Riguardo l’uso di modelli animali, soprattutto geneticamente modificati, Lynch afferma:
L’annotazione delle funzioni geniche basata esclusivamente su fenotipi mutanti in modelli animali, così come le assunzioni di funzioni conservate tra le specie, possono essere fuorvianti. Forse ancora più importante, i modelli animali di malattie umane non possono fornire informazioni adeguate sulla funzione del gene, in particolare per i geni e i sistemi a rapida evoluzione. E’ di vitale importanza dimostrare l’equivalenza tra il gene del modello e il gene umano rispetto alla funzione particolare studiata al fine di evitare conclusioni spurie. […] Tuttavia, l’ipotesi che le funzioni geniche e i sistemi genetici siano conservati tra i modelli e gli esseri umani è data per scontata, spesso a dispetto di prove che le funzioni e le reti geniche divergono nel corso dell’evoluzione. In questa recensione, discuto alcuni meccanismi che generano divergenza funzionale e metto in evidenza esempi recenti che dimostrano che le funzioni geniche e le reti di regolazione divergono nel tempo. Questi esempi suggeriscono che l’annotazione di funzioni geniche basate esclusivamente su fenotipi mutanti nei modelli animali, così come le assunzioni di funzioni conservate tra le specie, possono essere sbagliate. Pertanto, i modelli animali di funzioni geniche e di malattie umanenon possono fornire informazioni adeguate, in particolare per la rapida evoluzione di geni e sistemi. [24]
A seguito di 20 anni di ricerca sull’ipertensione usando animali geneticamente modificati che non hanno portato a nulla, Stingl, Völkel e Lindl hanno affermato:
“Perciò, anche se questi approcci sono ritenuti senza eccezione “molto promettenti” in letteratura, non ci si può aspettare che la ricerca sugli Organismi Geneticamente Modificati rechi alcun contributo ad una nuova strategia terapeutica nel prossimo futuro.” [25]
Per riassumere, i limiti degli animali geneticamente modificati come modelli per le patologie umane essenzialmente derivano da 5 fattori principali (vedi Lin 2008 per maggiori dettagli [26]):
1) I geni, le proteine, le interazioni proteina-proteina, l’epressione e la regolazione dei geni variano con la specie in questione.
2) Gli animali geneticamente modificati hanno ancora organi e sistemi che influenzano l’intero organismo a parte il gene modificato in questione.
3) Gli animali sono sistemi complessi, pertanto lievi modificazioni del sistema, salvo in caso di ridondanza (che è nota per essere un importante fattore di confusione negli studi genetici knockout), possono avere conseguenze indesiderate e impreviste per il sistema nel suo complesso (gli effetti pleiotropici sono rilevanti in questo ambito). Nei sistemi complessi, gli effetti di piccole manipolazioni sono raramente proporzionati in modo diretto, semplice o lineare alla grandezza delle cause della manipolazione stessa.
4) Gli effetti poligenici sono difficili da studiare usando le correnti tecnologie. Come osservato da Hau [27]:
“Molte funzioni fisiologiche sono poligeniche e controllate da più di un gene, e questo richiede attività di ricerca considerabili per identificare il contributo di geni multipli nei meccanismi biologici normali come in quelli anormali. L’inserimento di DNA nel genoma di animali o la delezione di specifici geni dà luogo a risultati spesso imprevedibili in termini di risultati scientifici, nonché in termini di benessere animale nelle prime generazioni di animali prodotti.”
5) Le variazioni intraspecifiche nella genetica degli animali modificati possono essere un fattore di confusione che maschera gli effetti della manipolazione genetica:
“I topi in ogni background inbred sono geneticamente identici, tuttavia quando non sono in un background puro, le differenze fenotipiche possono essere correlate a differenze nel background dei ceppi piuttosto che alla stessa manipolazione genetica. L’uso di topi fratelli nel background misto aiuta ma, a seconda del fenotipo, potrebbe non essere sufficiente” (Shapiro 2007) [28].

9. Quali sono i limiti dei modelli animali in psichiatria?

Rispondiamo citando Hyman, che afferma:
I test di nuoto forzato e di sospensione della coda sono diventati metodi comunemente utilizzati per la classificazione di topi transgenici faticosamente sviluppati e altri animali che abbiano fenotipi “simil-depressione” o “simil-antidepressivi”.
Vi è, infatti, solo una tenue connessione tra la depressione umana e questi test su roditori, che forse prevedibilmente non hanno portato a spunti meccanicistici durevoli o nuovi agenti terapeutici.
Gli attuali test basati su animali hanno fallito nell’identificare farmaci efficaci con nuovi meccanismi molecolari, e hanno dato una scarsa comprensione della patofisiologia dei comuni disturbi psichiatrici […]
Anatomicamente, gran parte dei circuiti neurali coinvolti nei sintomi psichiatrici – ad esempio, quelli della corteccia cerebrale prefrontale – sono nuovi o notevolmente espansi negli esseri umani, e i pattern di espressione genica nella corteccia cerebrale umana sembrano anch’essi essere recentemente evoluti, anche rispetto ai primati non umani (24). Detto questo, per quanto riguarda i circuiti neurali che sono conservati nell’evoluzione – quelli che sono coinvolti in emozioni di base come la paura e la ricompensa, così come alcune funzioni cognitive di base – i roditori e altri organismi possono potenzialmente fornire utili modelli preclinici. I topi transgenici costruiti con varianti genetiche altamente penetranti che causano malattie monogeniche rare hanno anch’essi dimostrato informatività (26), e nel caso della sindrome dell’X fragile hanno predetto l’efficacia di un farmaco contro un sottoinsieme di sintomi.

Tuttavia, i disturbi psichiatrici sono molto più eterogenei e poligenici, mettendo in dubbio l’utilità dei modelli murini genetici esistenti. Nel complesso, l’industria è arrivata alla prospettiva giustificabile che, con poche eccezioni, non esistono modelli di malattia validi per i disturbi psichiatrici.
[…] Come descritto, il comportamento animale può, in determinate circostanze, essere sia informativo che utile per lo sviluppo di trattamenti; tuttavia, l’eccessiva dipendenza da ciò che si chiama validità di forma (face validity) – il comportamento che plausibilmente modella i sintomi umani – ha spesso portato a vicoli ciechi.
[29].

10. E’ vero che il modello animale è intrinsecamente valido?

Rispondiamo citando il testo di una pubblicazione [30]:
“L’affermazione che i test su animali siano intrinsecamente validi, solo perchè sono test su animali, è discussa e respinta. Si è concluso che non c’è alcuna ragione giustificabile per sottoporre i test su animali a procedure nuove o considerevolmente modificate che siano meno rigorose di quelle applicate ai test senza animali e alle strategie di sperimentazione”

11. E’ vero che la predittività del modello animale è probabilità condizionata?

Certo, così come in fondo si parla di probabilità condizionata anche nella validazione dei metodi alternativi alla sperimentazione animale. E’ un valore sempre presente, e l’unico valore su cui ci possiamo basare per valutare qualsiasi tipo di metodologia, non solo l’animale.
Ciò che si vuole normalmente dimostrare, riducendo il tutto a “probabilità condizionata”, è che non si conterebbero tutti i vari farmaci che l’animale ha scartato e che quindi non sono arrivati all’Uomo.
Certamente è vero che senza alcuna protezione ci sarebbe il rischio di immettere farmaci tossici sul mercato e che è meglio una protezione limitata che nessuna protezione, d’altra parte però ciò non può essere una giustificazione sulla sufficiente validità del modello animale. Infatti, come abbiamo notato in precedenza, questa metodologia ha moltissimi limiti e l’eccessiva fiducia sul suo potenziale può provocare danni alla salute umana (ad esempio, facendo scartare trattamenti utili all’Uomo o non proteggendolo da composti nocivi).
Pertanto è necessario rendersi conto che l’animale va al più presto sostituito e che si devono investire sempre più risorse nell’implementazione e nello sviluppo delle metodologie avanzate.

12. E’ vero che seppure l’animale abbia i suoi limiti ci permette comunque di evitare che molti farmaci pericolosi arrivino all’uomo?

Dipende, i farmaci scartati dall’animale non sono per forza tossici o inefficaci. Questo ragionamento è difatti fallace per un motivo molto semplice: assume a priori che l’animale scarti principalmente farmaci dannosi o inutili per spiegare il successivo fallimento in fase clinica e giustificare quest’ultimo su una base di buona predittività mai dimostrata. E’ una fallacia logica detta “petitio principii”, ovvero un ragionamento fallace nel quale la proposizione che deve essere provata è supposta nelle premesse.

13. Non sapete che i metodi in vitro vengono già utilizzati, e sono complementari, non alternativi alla SA?

In realtà, in fase preclinica, è possibile utilizzare solo le metodologie approvate dall’ECVAM e inserite nelle linee guida (per approfondire il discorso sulle limitazioni dell’attuale iter di validazione, potete leggere, sopra, la risposta alla domanda corrispondente), quindi questo ragionamento non può valere per le nuove metodologie che descriviamo nel sito.
Per quanto riguarda invece la ricerca di base, ma anche per la maggior parte dei metodi validati dall’ECVAM, la quasi totalità dei test in vitro che si utilizzano fanno uso di cellule animali, per test più accurati dovremmo sostituirle con corrispettive umane [31]. E’ stato infatti chiaramente dimostrato che le marcate differenze di specie osservate su animali possono essere riprodotte nei modelli di coltura che utilizzino tessuti o cellule di altre specie [32]. Nonostante ciò, la direttiva europea 2010/63/UE, afferma: “I tessuti e gli organi animali sono impiegati per lo svi­luppo di metodi in vitro”.
Inoltre, sarebbe doveroso sostituire le colture di cellule 2D con modelli di tessuti o cellule 3D, in grado di predire meglio le risposte umane in vivo [33].
Spesso poi i metodi matematici (ma non solo!), pur essendo estremamente sensibili, vengono tarati sugli animali e non sugli esseri umani [34].
In aggiunta, l’uso integrato di metodologie avanzate, piuttosto che l’uso disorganizzato dei singoli metodi alternativi, può superare le debolezze dei singoli test, sia per la sensibilità che per la specificità [35] [36].
Infine, l’utilizzo di metodologie avanzate e innovative, come le colture multiorgano, i bioreattori multicompartimentali e le tecnologie “on-a-chip”, possono aumentare ancora di più la predittività delle metodologie avanzate.

14. Una cellula non può sostituire un organismo intero, con le sue interazioni e complessità!

Infatti un sistema complesso non può essere sostituito da una singola coltura monocellulare, tranne in casi particolari (vedasi ad esempio i test di irritazione oculare).
Qual è la vera alternativa allora? Per capirlo, iniziamo partendo dalla definizione di sistema complesso.
Un sistema complesso è – tra le varie cose – un sistema che ha interazioni tra le parti.
Studiando le cellule possiamo capire le diverse parti, ma l’organismo non è solo una somma delle parti, la complessità avviene invece quando alla somma si aggiunge l’interazione. Come riprodurre allora l’interazione? Esistono varie metodologie in proposito, le principali sono le seguenti:
– Co-colture 3D
– Organomica
– Microfluidica
Le co-colture sono colture di cellule diverse coltivate nello stesso recipiente, in modo da simulare un tessuto.
La tridimensionalità, rispetto alle classiche colture bidimensionali, aiuta queste colture cellulari a simulare un ambiente più simile a quello umano “in vivo” (vale a dire in un organismo vivente) [33], e metodologie sempre più avanzate come le IdMOC (Co-colture Integrate Discrete Multiorgano) [37] [38] ci permettono di arrivare a creare modelli di organi e interazioni tra essi.
L’organomica è lo sviluppo e lo studio di modelli di organo e sistemi di organo interconnessi in modo da comprendere meglio l’interazione tra tessuti e come questa interazione è usata per orchestrare la fisiologia sistemica.
Un esempio di metodo alternativo che sfrutta il principio dell’organomica è il sistema dei MCMB (bioreattori multicompartimentali modulari), che consente di coltivare più tipi di cellule in camere di coltura interconnesse in cui passa un flusso di sostanze nutritive che simula la circolazione sanguigna [39] [40] [41] [42].
La microfluidica è la scienza e tecnologia dei sistemi che processano o manipolano piccole quantità di liquidi utilizzando canali di dimensioni di decine o centinaia di micrometri.
Gli “Organs-on-Chips” sono (mini-)organi in 3D costituiti da tipi cellulari multipli e differenti che interagiscono tra loro sotto condizioni controllate, crescono in un chip microfluidico e mimano le complesse strutture e interazioni cellulari in e tra diversi organi e tipi di cellule [43] [44].
Considerato che spesso gli animali, in quanto sistemi diversamente complessi dall’Uomo, non sono adeguatamente predittivi, ad esempio perchè possono sussistere interazioni – oltre che con i moduli che stiamo analizzando – anche con il resto dell’organismo che differisce dall’Uomo, è preferibile partire dalle singole parti ricavate da materiale umano e successivamente ricreare nel modello le interazioni tra organi e tessuti che il nostro corpo avrebbe in Natura.

15. Quali sono i metodi alternativi?

Dipende dall’ambito che vogliamo analizzare, ed è quasi impossibile farne una lista completa. Cercheremo piuttosto di elencarne, articolo dopo articolo, i più promettenti sul sito e di descriverli. Nel frattempo, citerò adesso i principali:
– Organs-on-a-chip
– Bioreattori Multi-Compartimentali Modulari
– Co-colture integrate discrete multi organo
– Farmacogenomica (branca della farmacologia che si occupa dell’influenza della variabilità genetica sulla risposta al farmaco da parte dei pazienti, correlando l’espressione genica o la variazione dei singoli nucleotidi con l’efficacia, la tossicità e le interazioni tra i farmaci)
– Tossicogenomica
– Metodologie in vitro 3D e in silico avanzate
– Microarray
– Neuroimaging
– Microdosing
– Organi bioartificiali
– Virtual Organs
– Cellule staminali
– Organoidi da cellule staminali
– Modelli matematici
e molto altro.

Approfondimento sui metodi alternativi

16. E’ vero che le attuali metodologie non possono studiare il comportamento del singolo neurone nel contesto del sistema nervoso?

No, anzi, esistono tecniche usate con pazienti epilettici che permettono la registrazione proveniente da singoli neuroni in volontari umani.
Pazienti con epilessia intrattabile talvolta si sottopongono a chirurgia elettiva per rimuovere le aree cerebrali colpite. Durante questo intervento il paziente è cosciente affinchè possa guidare il chirurgo, e alcuni volontariamente partecipano in studi che richiedono la registrazione di potenziali d’azione dal cervello [45][46][47][48].
In questo modo i ricercatori hanno intrapreso studi di elaborazione visiva per la memoria episodica usando registrazioni dirette dall’ippocampo e hanno scoperto che certi neuroni dell’ippocampo sono direttamente collegati alla memoria visiva [49].
Ovviamente questo metodo dovrebbe essere maggiormente pubblicizzato, in modo da massimizzare il campione dei soggetti, che possono includere non solo persone affette da epilessia intrattabile ma anche pazienti che si sottopongono a diversi tipi di operazioni neurochirurgiche. In questo modo possiamo ottenere dati direttamente sull’Uomo, bypassando i problemi sulla trasferibilità dei risultati dall’Uomo all’animale.
Inoltre, se i fondi sono un problema, ecco un motivo in più per spostarli da ricerche su modelli molto limitati come gli animali a studi di questo tipo, molto più rilevanti per la specie umana.
C’è però da dire che le reti neurali coinvolte nella maggior parte dei compiti cognitivi funzionano a livello di migliaia di neuroni, quindi non è necessario registrare dal singolo neurone per capire la funzione di un’area cerebrale, senza contare che i modelli animali, come già accennato, anche se ci forniscono informazioni sul singolo neurone, non sempre sono attendibili.
Ad esempio, studiando i neuroni specchio con tecniche non-invasive sull’Uomo, si sono scoperte altre aree coinvolte, non rilevate negli esperimenti sulle scimmie, tra cui quelle del linguaggio [50].
Esperimenti di tipo cognitivo su scimmie, poi, identificavano la localizzazione e la funzione di una regione specializzata che però non si ritrovava nell’Uomo. Susan Courtney ed i suoi colleghi usarono la fMRI per indagare sulla localizzazione dell’attività di memorizzazione spaziale nell’Uomo. Un’area specializzata per questa funzione venne identificata, ma in una zona situata più superiormente e posteriormente che nelle scimmie [51].
Enard e colleghi hanno comparato il trascrittoma nei leucociti del sangue, nel fegato e nel cervello di umani, scimpanzè, orangutan e macachi usando i microarray, così come l’espressione di proteine negli umani e negli scimpanzè usando l’elettroforesi bidimensionale su gel, identificando così profili specie-specifici di espressione genica che hanno indicato che i cambiamenti nelle proteine e nell’espressione genica sono stati particolarmente pronunciati nel cervello umano [52].
Se ciò non bastasse, studi su Sclerosi Multipla in modelli animali non hanno rilevato la reale complessità della malattia, individuata poi attraverso studi di brain imaging [51].
A questo punto perché non investire risorse e tempo nel miglioramento delle attuali tecniche di neuro immagine?
Inoltre, sempre per quanto riguarda lo studio del cervello, sebbene non nello stesso ambito, recentemente alcuni ricercatori sono riusciti a individuare i geni utilizzati da ogni neurone e hanno così creato una mappa che identifica le funzioni di ogni cellula del cervello, l’”Atlante Allen”, un vero e proprio atlante del cervello che individua circa mille diverse caratteristiche tra le cellule che lo compongono. [53]
Altri progetti interessanti sono l’Human Connectome Project e l’Human Brain Project.
L’Human Connectome Project è un progetto molto ambizioso che consiste nel creare un modello del cervello studiando le connessioni tra neuroni (il “connettoma”). Tra i vari metodi utilizzati vi è la DSI (diffusion spectrum imaging), si cercano inoltre di ottimizzare le metodologie di neuroimmagine e vengono infine compiuti studi su tessuti cerebrali ex vivo (da cadaveri).
L’Human Brain Project, invece, è un progetto scientifico nel campo dell’informatica e delle neuroscienze che mira a realizzare, entro il 2023, attraverso un supercomputer, una simulazione del funzionamento completo del cervello umano e di tutte le sue sinapsi.
Infine, spesso, nello studio del cervello, vengono usate cellule in vitro animali dell’encefalo, tuttavia queste possono essere sostituite da corrispettive umane. Infatti le fettine di tessuto cerebrale umano ottenute da autopsia entro 8 ore dopo la morte possono essere mantenute in vitro per estesi periodi (fino a 78 giorni) e possono essere manipolate sperimentalmente [54].

17. Come si può studiare la biocompatibilità di un pacemaker senza usare animali?

La biocompatibilità di dispositivi medici (pacemaker, protesi, ecc.), ovvero l’attitudine di questi materiali ad essere ben tollerati dall’organismo ospite in cui devono operare e a determinare una risposta opportuna, può essere studiata usando test in vitro per compatibilità cellulare (citotossicità) e compatibilità con il sangue (emocompatibilità), in questo modo si possono evitare pericoli per i pazienti e inutili esperimenti su animali.
Il sangue umano, poi, è consigliato per i test in vitro a causa di differenze specie-specifiche significative nella reattività del sangue, ad esempio adesione piastrinica, trombosi ed emolisi tendono ad accadere più prontamente nelle specie canine che negli umani [55].
I risultati ottenuti utilizzando questa metodologia sono maggiormente riproducibili e predittivi di quelli ottenuti da studi in vivo (su animali) [56].

18. Parlate di situazione allarmante, ma i farmaci che causano effetti collaterali gravi o letali sono molto pochi in fase I!

C’è però da dire che molti effetti avversi non si manifestano nelle prime fasi cliniche a causa delle dosi.
Infatti, i livelli posologici da cui si iniziano i test nell’Uomo sono di solito 1/100 della dose NOAEL (No Observed Adverse Affect Level), cioè della dose massima alla quale, nell’animale, non si sono verificati effetti collaterali di sorta.
Il dosaggio iniziale verrà poi aumentato progressivamente, rivelando spesso anche tutti gli effetti avversi che non si erano rilevati in precedenza a causa della dose minore.
Ciò è dimostrato dal fatto che, come detto in precedenza, ben l’81% delle volte gli animali non riescono a predire i gravi effetti avversi ai farmaci per l’Uomo [5].
Inoltre, partire da una dose che sia più bassa di quella animale è già una conferma di per sé della consapevolezza dei limiti della SA. Infatti, quale prova migliore del fatto che i dati ottenuti sull’animale siano di valore limitato per l’Uomo e che le fasi cliniche attualmente abbiano una bassa protezione?

Approfondimento sulla Fase I

19. E’ vero che la SA non può far danni perché i prodotti in commercio hanno superato anche i trial clinici su umani e quindi sono un fallimento della sperimentazione in toto e non solo della SA?

Certamente anche la sperimentazione clinica ha i suoi limiti, ma proprio per questo si sta cercando di ridurre le possibili minacce, e lo si sta facendo proprio migliorando la ricerca preclinica e aprendo la strada alla medicina personalizzata.
Inoltre, ai fallimenti che si hanno dal passaggio dalla sperimentazione animale alla fase clinica I, si devono aggiungere quelli che si hanno nei trial clinici stessi e dopo la commercializzazione, per avere una visione globale di quanto la SA sia – alla fine dei conti – effettivamente efficace e di quali siano i suoi limiti.
Inoltre, se già differenze genetiche intra-specifiche di appena lo 0,1% portano a grandi insuccessi, dovremmo capire che i risultati derivanti da specie che differiscono da noi per il 2 o il 15% di DNA hanno limitazioni ancora più ampie, che vanno al più presto risanate sostituendo i vecchi modelli con le metodologie avanzate.

Bibliografia:

1.“For example, a new medicinal compound entering Phase 1 testing, often representing the culmination of upwards of a decade of preclinical screening and evaluation, is estimated to have only an 8 percent chance of reaching the market.”
“The main causes of failure in the clinic include safety problems and lack of effectiveness: inability to predict these failures before human testing or early in clinical trials dramatically escalates costs.”

[Innovation or Stagnation: Challenge and Opportunity on the Critical Path to New Medical Products. U.S. Department of Health and Human Services. Food and Drug Administration. March 2004 ]

2. “On the other hand, in a briefing to analysts on 17 June 2003 Pfizer’s current President of Research and Development, John La Mattina, was quoted as saying “Right now, only one in 25 early candidates survives to become a prescribed medicine. We think we can improve those odds to one in ten and greatly enhance our ability to bring new medicines to patients around the world.”; Pfizer’s India Homepage states that “approximately 1 out of every 15 drug candidates entering development completes phase III evaluation and obtains approval, ” both suggesting that their rate of attrition might be 93–96%.”
[Kola I, Landis J. Can the pharmaceutical industry reduce attrition rates? Nat Rev Drug Discov. 2004 Aug;3(8):711-5.]

3.“Overall, 51% of approved drugs have serious adverse effects not detected prior to approval”
“Each year prescription drugs injure 1,5 million people so severely they require hospitalization and 100 000 die, making prescription drugs a leading cause of death in the United States”
[Moore T.J., Psaty BM. e Furberg CD. Time to act on drug safety. JAMA, 279: 1571-1573, 1998]

4.“The health care system also may contribute to poor health through its adverse effects. For example, US estimates of the combined effect of errors and adverse effects that occur because of iatrogenic damage not associated with recognizable error include:
· 12,000 deaths/year from unnecessary surgery
· 7,000 deaths/year from medication errors in hospitals
· 20,000 deaths/year from other errors in hospitals
· 80,000 deaths/year from nosocomial infections in hospitals
· 106,000 deaths/year from adverse effects of medications
These total to 225 000 deaths per year from iatrogenic causes. Three caveats should be noted. First, most of the data are derived from studies in hospitalized patients. Second, these estimates are for deaths only and do not include adverse effects that are associated with disability or discomfort. Third, the estimates of death due to error are lower than those in the IOM report. If the higher estimates are used, the deaths due to iatrogenic causes would range from 230000 to 284000.”
[Starfield B. Is US health really the best in the world? JAMA. 2000 Jul 26;284(4):483-5. ]

5. “Of 93 serious adverse reactions related to 43 small molecule drugs, only 19% were identified in animal studies as a true positive outcome, which suggests that data from animal studies are of limited value to pharmacovigilance activities.”
“One could argue that non-clinical studies are not designed to identify rare adverse reactions that appear after market approval.

Although the number of animals used in non-clinical studies is relatively small, the studies are designed to find important side effects that are likely to occur in humans (International Conference on Harmonisation of Technical Requirements for Registration of Pharmaceuticals for Human Use, 2009). However, as high doses are administered for a prolonged period to elicit a complete toxicological response in animals, this approach can also estimate potential
toxicities that could occur in humans. In 18 cases, true positive events in animal studies correctly predicted post-marketing adverse reactions. Nevertheless, the low incidence rate, high doses, prolonged exposure, and species specificity were important reasons to assume that these events were unlikely to occur in the clinical trial population. In addition, the number of adverse reactions in animals that have no corollary in humans (false positives) increase with increasing dose, suggesting that over-exposure might not produce meaningful results (Igarashi et al., 1995).”

[van Meer PJ, Kooijman M, Gispen-de Wied CC, Moors EH, Schellekens H. The ability of animal studies to detect serious post marketing adverse events is limited. Regul Toxicol Pharmacol. 2012 Dec;64(3):345-9. doi: 10.1016/j.yrtph.2012.09.002. Epub 2012 Sep 12.]

6. “It appears that, on average greater than or equal to 50% of NIH extramural research dollars went to research involving sentient animals. According to the table, at least 45% went to research on mammals (most people consider mammals sentient and many even consider all vertebrates sentient [112-123]) and another 30% to research involving nonmammalian vertebrates and so forth (it appears that most people think at least some of these animals are sentient). Assuming some of the nonmammalian vertebrates are sentient, then the total is easily over 50%. Based on these numbers and NIH’s predisposition to fund basic research, it appears feasible that at least 50% of extramural funding went to basic research on sentient animals.”
“”Most of our best people work in lab animals, not people,” says Dr. Steinman, who presents his case in a recent issue of the journal Cerebrum. “But this has not resulted in cures or even significantly helped most patients.”… “Human experiments are much more time-consuming and more difficult than animal studies,” says Rockefeller’s James Krueger, whose human research includes trying to correlate gene activity and changes in immune-system cells with the progression of psoriasis. “There are also funding issues. It’s much easier to write a successful grant proposal for animal experiments. Animals are homogeneous, and let you say ‘aha!’ in a neat, clean experiment.” Humans, in contrast, are genetically and behaviorally diverse, making it hard to tell whether some aspect of their disease reflects the disease alone, their DNA, how they live — or some messy permutation of all three [98].”

[Greek R, Greek J. Is the use of sentient animals in basic research justifiable? Philos Ethics Humanit Med. 2010 Sep 8;5:14. doi: 10.1186/1747-5341-5-14.]

7. “Rothwell [84] pointed out that studying humans and the physical sciences have been the most productive compared to animal research.”
“Indeed, most major therapeutic developments over the past few decades have been due to simple clinical innovation coupled with advances in physics and engineering rather than to laboratory-based medical research. The clinical benefits of advances in surgery, for example, such as joint replacement, cataract removal, endoscopic treatment of gastrointestinal or urological disease, endovascular interventions (e.g., coronary and peripheral angioplasty/stenting or coiling of cerebral aneurysms), minimally invasive surgery, and stereotactic neurosurgery, to name but a few, have been incalculable. Yet only a fraction of non-industry research funding has been targeted at such clinical innovation. How much more might otherwise have been achieved?”
“Rothwell goes on to point out that much of the failure of basic research can be attributed to the use of animal models. ”
[Rice MJ. The institutional review board is an impediment to human research: the result is more animal-based research. Philos Ethics Humanit Med. 2011 Jun 7;6:12. doi: 10.1186/1747-5341-6-12.]

8.“Of the 25,190 articles published from 1979 to 1983 in the six basic science journals, 562 contained the selected key words (Figure 1). Of those, 101 were original articles that clearly stated future clinical therapeutic or preventive applications in humans for the studied technologies (Table 1). […] By October 2002, 27 of the promising technologies had resulted in at least one published randomized trial, 19 of which had led to the publication of at least one positive randomized trial. Five basic science findings are currently licensed for clinical use, but only one has been used extensively for the licensed indications.”
[Contopoulos-Ioannidis DG, Ntzani E, Ioannidis JP. Translation of highly promising basic science research into clinical applications. Am J Med. 2003 Apr 15;114(6):477-84.]

9. [Goldberg AM, Hartung T. Protecting more than animals. Sci Am. 2006 Jan;294(1):84-91.]

10. [Hartung T, Bruner L, Curren R, Eskes C, Goldberg A, McNamee P, Scott L, Zuang V. First alternative method validated by a retrospective weight-of-evidence approach to replace the Draize eye test for the identification of non-irritant substances for a defined applicability domain. ALTEX. 2010;27(1):43-51.]

11. [Greek R, Menache A. Systematic Reviews of Animal Models: Methodology versus Epistemology. Int J Med Sci 2013; 10(3):206-221.]

12. [Greek R, Rice MJ. Animal models and conserved processes. Theor Biol Med Model. 2012 Sep 10;9:40. doi: 10.1186/1742-4682-9-40.]

13. [Lavery JV. How can institutional review boards best interpret preclinical data? PLoS medicine 2011, 8(3):e1001011.]

14. [Anderson J, Kimmelman J. Extending Clinical Equipoise to Phase I Trials Involving Patients: Unresolved Problems. Kennedy Inst Ethics J 2010, 20:79-81.]

15. [Giri S, Bader A. Foundation review: Improved preclinical safety assessment using micro-BAL devices: the potential impact on human discovery and drug attrition. Drug Discovery Today 2011, 16(9/10):382-397.]

16. [Enna SJ, Williams M. Defining the role of pharmacology in the emerging world of translational research. Adv Pharmacol 2009, 57:1-30.]

17. [Shapiro SD: Transgenic and gene-targeted mice as models for chronic obstructive pulmonary disease. Eur Respir J 2007, 29(2):375-378.]

18. [Rangarajan A, Weinberg RA: Opinion: Comparative biology of mouse versus human cells: modelling human cancer in mice. Nat Rev Cancer 2003, 3(12):952-959.]

19. [Lindl T, Voelkel M, Kolar R. [Animal experiments in biomedical research. An evaluation of the clinical relevance of approved animal experimental projects]. ALTEX 2005, 22(3):143-151.]

20.
“Species, and even individual humans, can differ in genetic composition. For example, there may be differences in
• The presence (or absence) of certain genes.
The presence (or absence) of certain alleles.
• The background genes and modifier genes that influence the genes being perturbed by drugs or disease.
• The regulation and expression of genes.
Gene networks.
• Alternative splicing, which allows one gene to form or be part of forming many different proteins.
• Proteins and protein–protein interactions.
Gene–protein interactions.
• Old genes evolving to perform new functions.
• Horizontal gene transfer (HGT). HGT occurs when genes from one organism are incorporated into another organism without the recipient organisms being the offspring of the donor. For example, resistance to anti-bacterial drugs can occur through HGT.
• Epigenetics. Epigenetics is the relatively new field that studies changes in gene expression that can be inherited and that occur without changing the underlying DNA sequence. For example, because of environmental influences, a regulatory gene may be changed such that it is turned on or off thus allowing a disease to manifest.
• The presence of gene and chromosomal mutations such as single nucleotide polymorphisms (SNPs), copy number variants (CNVs), duplications, inversions, deletions, and insertions.”
[Greek R, Pippus A, Hansen LA. The Nuremberg Code subverts human health and safety by requiring animal modeling. BMC Med Ethics. 2012 Jul 8;13:16. doi: 10.1186/1472-6939-13-16.]

21. [Glazko G, Veeramachaneni V, Nei M, Makałowski W. Eighty percent of proteins are different between humans and chimpanzees. Gene. 2005 Feb 14;346:215-9.]

22. “However, despite the generation of several transgenic and knockout models, obtaining relevant models still faces several theoretical and technical challenges. Indeed, genes of interest are not always available and gene addition or inactivation sometimes does not allow clear conclusions because of the intrinsic complexity of living organisms or the redundancy of some metabolic pathways. In addition to homologous recombination, endogenous gene expression can be specifically inhibited using several mechanisms such as RNA interference.”
“Models based on the use of gene knockout are sometimes disappointing. In up to 30% of the knockouts, no phenotypic effects are observed, perhaps because of the insufficient observations of the animals or because redundant mechanism mask the knockout effects. In other cases, the interference of the gene, which was knocked out with other genes, is too complex and cannot be analyzed easily, leading no clear conclusion.”
[Houdebine LM. Transgenic animal models in biomedical research. Methods Mol Biol. 2007;360:163-202.]

23. “In humans, mutations in either of the two subunits for this channel, the sulfonylurea type 1 receptor (Sur1) or Kir6.2, cause persistent hyperinsulinemic hypoglycemia of infancy. We have generated and characterized Sur1 null mice. Interestingly, these animals remain euglycemic for a large portion of their life despite constant depolarization of membrane, elevated cytoplasmic free Ca(2+) concentrations, and intact sensitivity of the exocytotic machinery to Ca(2+). A comparison of glucose- and meal-stimulated insulin secretion showed that, although Sur1 null mice do not secrete insulin in response to glucose, they secrete nearly normal amounts of insulin in response to feeding.”
“We found that perfused Sur1 null pancreata secreted insulin in response to the cholinergic agonist carbachol in a glucose-dependent manner. Together, these findings suggest that cholinergic stimulation is one of the mechanisms that compensate for the severely impaired response to glucose and GLP-1 brought on by the absence of Sur1, thereby allowing euglycemia to be maintained.”
[Shiota C, Larsson O, Shelton KD, Shiota M, Efanov AM, Hoy M, Lindner J, Kooptiwut S, Juntti-Berggren L, Gromada J, Berggren PO, Magnuson MA. Sulfonylurea receptor type 1 knock-out mice have intact feeding-stimulated insulin secretion despite marked impairment in their response to glucose. J Biol Chem. 2002 Oct 4;277(40):37176-83. Epub 2002 Jul 30.]

24. “Annotation of gene functions based solely on mutant phenotypes in animal models, as well as assumptions of conserved functions between species, may be misleading. Perhaps more importantly, animal models of human disease may not provide appropriate information on gene function, particularly for rapidly evolving genes and systems.”
“It is vitally important to demonstrate equivalence between the model and human gene with respect to the particular function under study to avoid spurious conclusions.”
“However, the assumption that gene functions and genetic systems are conserved between models and humans is taken for granted, often in spite of evidence that gene functions and networks diverge during evolution. In this review, I discuss some mechanisms that generate functional divergence and highlight recent examples demonstrating that gene functions and regulatory networks diverge through time. These examples suggest that annotation of gene functions based solely on mutant phenotypes in animal models, as well as assumptions of conserved functions between species, can be wrong. Therefore, animal models of gene function and human disease may not provide appropriate information, particularly for rapidly evolving genes and systems.”
[Lynch VJ. Use with caution: developmental systems divergence and potential pitfalls of animal models. Yale J Biol Med. 2009 Jun;82(2):53-66.]

25.
“Therefore, although these approaches are without exception deemed “very promising” in the literature, it cannot be expected that research on GMO will make any contribution to a new therapeutic strategy in the near future.”
[Stingl L, Völkel M & Lindl T. 20 years of hypertension research using genetically modified animals: no clinically promising approaches in sight. ALTEX 2009; 26(1): 41-51.]

26. “Modification of a given gene does not always result in the anticipated phenotype. In some instances, phenotypes of targeted mouse mutants were not those predicted from the presumed function of the given genes, while other null mutants revealed no apparent defects. Furthermore, the phenotypic outcome can be influenced by many environmental and genetic factors. Therefore, interpretation of the significance of the findings from studies using genetically modified mouse models is not always as straightforward as one would expect, especially when desire is to extrapolate the findings to humans. Interestingly, many humanized mouse models have been generated for evaluating the function and regulation of cytochrome P450 (CYP) enzymes.”
[Lin JH. Applications and limitations of genetically modified mouse models in drug discovery and development. Curr Drug Metab. 2008 Jun;9(5):419-38.]

27. “Many physiological functions are polygenic and controlled by more than one gene, and it will require considerable research activities to identify the contribution of multiple genes to normal as well as abnormal biological mechanisms. The insertion of DNA into the genome of animals or the deletion of specic genes gives rise to sometimes unpredictable outcomes in terms of scientic results as well as in terms of animal well-being in the rst generations of animals produced.”
[Hau, J. 2003. Animal Models. In Handbook of Laboratory Animal Science. Animal Models, edited by J. Hau and G.K. van Hoosier Jr: CRC Press.]

28. “Mice in any given inbred background are genetically identical; however, when mice are not on a pure background, phenotypic differences may be related to background strain differences rather than the genetic manipulation itself. Littermates in the mixed background help but, depending upon the phenotype, might not suffice.”
[Shapiro SD. Transgenic and gene-targeted mice as models for chronic obstructive pulmonary disease. Eur Respir J. 2007 Feb;29(2):375-8.]

29. [Hyman SE. Revolution stalled. Sci Transl Med. 2012 Oct 10;4(155):155cm11.]

30. “The proposition that animal tests are inherently valid, merely because they are animal tests, is discussed and is rejected. It is concluded that there is no justifiable reason for subjecting new or substantially modified animal test procedures or testing strategies to a validation process that is any less stringent than that applied to non-animal tests and testing strategies”
[Balls, M. (2004) Are animal tests inherently valid? ATLA: Alternatives to Laboratory Animals, 32(Suppl. 1B), 755–758.]

31. “Despite this, relatively little drug development is conducted using fresh human tissue because of the logistical and ethical difficulties surrounding the availability of tissue and practicalities of experimental work. Most tests of drug activity require a living test system comprising cells, tissues or whole organisms”
“Fresh, functional human tissues have long been considered the closest possible model of human in vivo function and can be used to measure a wide range of pharmacological responses.”
“In some instances, “living” (fresh) human tissues have the potential to reduce or replace animal tests through superior prediction of drug safety and efficacy.“
[Bunton D. The use of functional human tissues in drug development. Cell Tissue Bank. 2011 Feb;12(1):31-2. doi: 10.1007/s10561-010-9213-5. Epub 2010 Sep 8.]

32. “It has been clearly demonstrated that marked interspecies variations exist in CYP450 activities (3), and that the species differences observed in vivo can be reproduced in cell culture models (4, 5).”
[Zeilinger K, Sauer IM, Pless G, Strobel C, Rudzitis J, Wang A, Nüssler AK, Grebe A, Mao L, Auth SH, Unger J, Neuhaus P, Gerlach JC.
Three-dimensional co-culture of primary human liver cells in bioreactors for in vitro drug studies: effects of the initial cell quality on the long-term maintenance of hepatocyte-specific functions.
Altern Lab Anim. 2002 Sep-Oct;30(5):525-38.]

33. “Current pre-clinical methods of determining renal toxicity include 2D cell cultures and animal models, both of which are incapable of fully recapitulating the in vivo human response to drugs, contributing to the high failure rate upon clinical trials.”
“It is hypothesized that these 3D human tissue models will better recapitulate the human in vivo response to drugs.”
“The 3D tissues were more sensitive to drug-induced toxicity and, unlike the 2D cells, were capable of being used to monitor chronic toxicity due to repeat dosing.”
“When this is combined with our data revealing more in vivo like function in 3D, it suggests that the cells may behave more like their in vivo counterparts when allowed to form 3D structure.”
“Taken together, this indicates that our bioengineered 3D model is more sensitive than the cells used in it in 2D and hRPTECs.”
“Additionally, long term studies revealed the utility of the 3D model for chronic toxicity studies over the 2D system.”
[Teresa M. DesRochers, Laura Suter, Adrian Roth, David L. Kaplan. Bioengineered 3D Human Kidney Tissue, a Platform for the Determination of Nephrotoxicity. PLoS One. 2013; 8(3): e59219. PMCID: PMC3597621.]

34. “We recently published a mathematical model of shear-regulated intimal hyperplasia based on experimental data obtained from the rabbit vein graft construct.”
“Based on animal experimentation by our group and others, the standard paradigm of vein graft remodeling has been established”
“Using a rabbit vein graft model and a novel rabbit-specific Agilent microarray platform (Santa Clara, CA), we examined the temporal variation in gene expression within the vein graft wall at 2 hours and 1, 7, and 28 days following implantation.”
[Berceli SA, Tran-Son-Tay R, Garbey M, Jiang Z. Hemodynamically driven vein graft remodeling: a systems biology approach. Vascular. 2009 May-Jun;17 Suppl 1:S2-9.]

35. “Second, we must not rely on one tool only: the combination of tools with complementary strengths, such as a sensitive and a specific test, can overcome weaknesses.”
[Hartung T. Food for thought… on animal tests. ALTEX. 2008;25(1):3-16.]

36. “A broad range of investigative tools exist that may potentially replace sentient animal use within biomedical research and toxicity testing.”
“Accordingly, for those less familiar with the alternatives field, this review seeks to broadly illustrate the potential offered by non-animal (replacement) methodologies, through examination of selected examples.”
“Nevertheless, it remains clearly apparent from this limited review that a broad range of investigative tools exists, with the potential to replace animal use within biomedical research and toxicity testing.”
“However, properly collating and examining the more targeted data obtained through such a testing scheme is likely to yield a weight-of-evidence characterisation for human toxicity of superior predictivity to that currently offered by conventional animal-based assays, such as the traditional rodent bioassay. It may also facilitate greater understanding of mechanisms of toxicity.”

[Knight A. Non-animal methodologies within biomedical research and toxicity testing. ALTEX. 2008;25(3):213-31.]

37. “In vivo properties that are not well-represented in vitro include organ-specific responses, multiple organ metabolism, and multiple organ interactions. The IdMOC system has been developed to address these deficiencies. The system uses a ‘wells-within-a-well’ concept for the co-culturing of cells or tissue slices from different organs as physically separated (discrete) entities in the small inner wells. These inner wells are nevertheless interconnected (integrated) by overlying culture medium in the large outer containing well. The IdMOC system thereby models the in vivo situation, in which multiple organs are physically separated but interconnected by the systemic circulation, permitting multiple organ interactions.”
[Li AP. The use of the Integrated Discrete Multiple Organ Co-culture (IdMOC) system for the evaluation of multiple organ toxicity. Altern Lab Anim. 2009 Sep;37(4):377-85.]

38. “The IdMOC system employs a wells-in-a-well concept for the co-culturing of cells from different organs as physically separated (discrete) entities in the inner wells, but interconnected by an overlying medium (integrated) in the outer well. The IdMOC system models a multi-organ animal/human in vivo with organs that are physically separated but interconnected by the systemic circulation. The IdMOC allows multi-organ interactions that are absent in the conventional single-cell type cultures. Applications of IdMOC include the evaluation of multiple organ metabolism as well as organ-specific drug distribution and toxicity. A particularly interesting application of IdMOC is the co-culturing of cancer cells and cells representing major organs for the selection of anticancer agents with minimal organ toxicity.”
[Aarti R. Uzgare and Albert P. Li New Paradigm in Toxicity Testing: Integrated Discrete Multiple Organ Co-cultures (IdMOC) for the Evaluation of Xenobiotic Toxicity. ALTEX: Current Proceedings: Vol 2, No. 1: 39-46]

39. [Vozzi F, Mazzei D, Vinci B, Vozzi G, Sbrana T, Ricotti L, Forgione N, Ahluwalia A. A flexible bioreactor system for constructing in vitro tissue and organ models. Biotechnol Bioeng. 2011 Sep;108(9):2129-40.]

40. [Iori E, Vinci B, Murphy E, Marescotti MC, Avogaro A, et al. (2012) Glucose and Fatty Acid Metabolism in a 3 Tissue In-Vitro Model Challenged with Normo- and Hyperglycaemia. PLoS ONE 7(4): e34704.]

41. [Bruna Vinci, Cédric Duret, Sylvie Klieber, Sabine Gerbal-Chaloin, Antonio Sa-Cunha, Sylvain Laporte, Bertrand Suc, Patrick Maurel, Arti Ahluwalia and Martine Daujat-Chavanieu. Modular bioreactor for primary human hepatocyte culture: Medium flow stimulates expression and activity of detoxification genes, Biotechnol. J. 2011, 6, 554–564.]

42. [Mazzei D, Guzzardi MA, Giusti S, Ahluwalia A. A low shear stress modular bioreactor for connected cell culture under high flow rates. Biotechnol Bioeng. 2010 May 1;106(1):127-37. doi: 10.1002/bit.22671.]

43. [van de Stolpe A, den Toonder J. Workshop meeting report Organs-on-Chips: human disease models. Lab Chip. 2013 Sep 21;13(18):3449-70. doi: 10.1039/c3lc50248a.]

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48. [Matsumoto R, Kunieda T, Ikeda A. [In vivo investigation of human brain networks by using cortico-cortical evoked potentials]. Brain Nerve. 2012 Sep;64(9):979-91.]

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50. [Buccino G, Binkofski F, Fink GR, Fadiga L, Fogassi L, Gallese V, Seitz RJ, Zilles K, Rizzolatti G, Freund HJ. Action observation activates premotor and parietal areas in a somatotopic manner: an fMRI study. Eur J Neurosci. 2001 Jan;13(2):400-4.]

51. [Langley, G and Harding, G and Hawkins, P and Jones, A and Newman, C and Swithenby, S and Thompson, D and Tofts, P and Walsh, V (2000) Volunteer studies replacing animal experiments in brain research – Report and recommendations of a Volunteers in Research and Testing workshop. ATLA-ALTERN LAB ANIM , 28 (2) 315 – 331.]

52. [Enard W, Khaitovich P, Klose J, Zöllner S, Heissig F, Giavalisco P, Nieselt-Struwe K, Muchmore E, Varki A, Ravid R, Doxiadis GM, Bontrop RE, Pääbo S. Intra- and interspecific variation in primate gene expression patterns. Science. 2002 Apr 12;296(5566):340-3.]

53. [Hawrylycz MJ, Lein ES, Guillozet-Bongaarts AL, Shen EH, Ng L, Miller JA, van de Lagemaat LN, Smith KA, Ebbert A, Riley ZL, Abajian C, Beckmann CF, Bernard A, Bertagnolli D, Boe AF, Cartagena PM, Chakravarty MM, Chapin M, Chong J, Dalley RA, Daly BD, Dang C, Datta S, Dee N, Dolbeare TA, Faber V, Feng D, Fowler DR, Goldy J, Gregor BW, Haradon Z, Haynor DR, Hohmann JG, Horvath S, Howard RE, Jeromin A, Jochim JM, Kinnunen M, Lau C, Lazarz ET, Lee C, Lemon TA, Li L, Li Y, Morris JA, Overly CC, Parker PD, Parry SE, Reding M, Royall JJ, Schulkin J, Sequeira PA, Slaughterbeck CR, Smith SC, Sodt AJ, Sunkin SM, Swanson BE, Vawter MP, Williams D, Wohnoutka P, Zielke HR, Geschwind DH, Hof PR, Smith SM, Koch C, Grant SG, Jones AR. An anatomically comprehensive atlas of the adult human brain transcriptome. Nature. 2012 Sep 20;489(7416):391-9. doi: 10.1038/nature11405.]

54. “The present study shows that human brain tissue slices obtained by autopsy within 8 h after death can be maintained in vitro for extended periods (up to 78 days) and can be manipulated experimentally. […] These slice cultures offer new opportunities to study the cellular and molecular mechanisms of neurological and psychiatric diseases and new therapeutic strategies”
[Verwer RW, Hermens WT, Dijkhuizen P, ter Brake O, Baker RE, Salehi A, Sluiter AA, Kok MJ, Muller LJ, Verhaagen J, Swaab DF. Cells in human postmortem brain tissue slices remain alive for several weeks in culture. FASEB J. 2002 Jan;16(1):54-60.]

55. [Müller U. In vitro biocompatibility testing of biomaterials and medical devices. Med Device Technol. 2008 Mar-Apr;19(2):30, 32-4.]

56. “By definition, a biocompatible biomaterial does not have toxic or injurious effects on biological systems. […] In vitro toxicity examinations are more favorable than those performed in vivo, as the results are more reproducible and predictive. In this paper, basic in vitro tools were used to evaluate cellular and molecular responses with regard to the biocompatibility of biomedical-grade chitosan. Three paramount experimental parameters of biocompatibility in vitro namely cytocompatibility, genotoxicity and skin pro-inflammatory cytokine expression, were generally reviewed for biomedical-grade chitosan as wound dressing.”
[Keong LC, Halim AS. In vitro models in biocompatibility assessment for biomedical-grade chitosan derivatives in wound management. Int J Mol Sci. 2009 Mar;10(3):1300-13. doi: 10.3390/ijms10031300. Epub 2009 Mar 18.]

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