Recentemente persone favorevoli alla sperimentazione animale hanno affermato che non esisterebbero metodi alternativi agli animali per testare pacemaker e dispositivi medici.
Tra i loro argomenti vi sono:
1) critica all’uso di cadaveri perfusi
2) critica all’uso di manichini
3) critica all’uso di metodologie in vitro per testare la biocompatibilità dei dispositivi medici.
Partiamo dal primo punto:
I pro-SA affermano:
“il danno a livello cardiaco si configura molto presto: entro 2-3 ore inizia il fenomeno dell’apoptosi, ovvero della morte programmata delle cellule in seguito alla carenza di ossigeno parziale (danno ischemico) o totale (infarto), e successivamente inizia il fenomeno della necrosi, la morte cellulare a causa di insulti di varia natura. Tutti questi fenomeni alterano e distruggono il tessuto cardiaco in modo definitivo, provocandone il deterioramento e la perdita di funzione da parte del cuore. L’estensione del danno dipende poi dalla causa dell’ischemia/infarto e dalla capacità di compenso del sistema vascolare (dei vasi che irrorano il tessuto cardiaco).
E’ alquanto particolare quindi ritenere che il cuore di un cadavere sia in perfette condizioni per poter essere utilizzato negli studi dei dispositivi pacemaker, in quanto soggetto ai fenomeni sopra descritti. Se fosse poi riperfuso, ovvero se fosse ripristinata la circolazione all’interno del cuore, si avrebbe il cosiddetto danno da riperfusione che consiste nel danno diretto da parte di specie reattive dell’ossigeno (radicali liberi) che danneggiano la membrana cellulare, le proteine e il DNA delle cellule, accelerandone la morte. Un danno sopra il danno insomma!”
Usare animali per testare pacemaker, cioè fare uso del modello animale, non è la soluzione ideale, infatti la stessa anatomia tra un cuore umano e quello animale è diversa, esistono inoltre differenze più specifiche dovute all’appartenenza a specie diverse, ad esempio: adesione piastrinica, trombosi ed emolisi tendono ad accadere più velocemente nelle specie canine che negli umani [1].
Alcuni ricercatori della Washington University, a seguito dei risultati di studi pubblicati sul Journal of Molecular and Cellular Cardiology [2][3], hanno affermato:
”Il problema è che, almeno nel campo dell’aritmia cardiaca, il paradigma di questo modello animale ha avuto ben pochi successi. Studio clinico dopo studio clinico si sono conclusi con fallimenti. […] Il cuore di un topo batte circa 600 volte al minuto, quindi potete immaginare che è un po’ diverso dagli esseri umani, il cui cuore batte in media 72 volte al minuto. […] Si può mutare nei topi il gene che si pensa possa causare insufficienza cardiaca negli esseri umani e comunque non si otterrà la stessa malattia, perchè il topo è alquanto diverso. Da quando abbiamo iniziato a lavorare con i cuori umani, finalmente stiamo cominciando a recuperare il ritardo maturato con la fisiologia animale.”[4]
In aggiunta, l’uso di cadaveri perfusi ha già sostituito efficacemente gli animali nella didattica chirurgica e ha la possibilità di farlo nella microchirurgia, leggiamo infatti:
“We developed a new model utilising human cadavers that can replace the use of live anaesthetised animals for surgical training.
The vessels in a cadaveric specimen were connected to artificial blood reservoirs. The arterial side was connected to a pump to provide pulsating pressure inside the arteries, while the venous side was kept under static pressure that applied to the reservoir.
This method provides a condition that simulates live surgery in terms of bleeding, pulsation and liquid filling of the vascular tree. It is an excellent alternative model and can be applied to the whole cadaver or to a particular cadaveric specimen (head, arm, leg) or to an isolated organ. It is distinctive and of a great practical value for training in a wide range of surgical procedures, Utilising this technique could forever eliminate the use of live anaesthetised animals for surgical training.”
Si dimostrano infatti più attendibili degli animali nelle tecniche operatorie:
“One cadaveric specimen provides an opportunity for numerous training procedures. Trainees can practise on the same specimen for an extended time, as long as the specimen is preserved, in addition to the advantages of practising on the real human anatomy, while training on anaesthetised animals allows time for only a few procedures, on a strange and different anatomy.“
[…]
“Live anaesthetised animals may provide a similar situation to live surgery (bleeding, pulsation and soft, oozing tissues), but in a different anatomy, and for only a short period of time before the animal expires.” [5]
Addirittura i cadaveri umani sono il modello più vicino all’uomo vivente in ambito chirurgico, sebbene manchino dei fattori emodinamici, carenza a cui si può però rimediare, come già detto prima, grazie alla perfusione del cadavere:
“Human cadaver models are especially beneficial because they are the closest to live surgery with the greatest disadvantage of lacking hemodynamic factors.”[6]
A volte per sostituire il modello animale , accettato come metodo scientifico da usare anche se non rappresentativo dell’essere umano, c’è bisogno di una strategia integrata che unisca più metodi scientifici avanzati che forniscono risposte su processi diversi.
In questo caso vengono in aiuto ai ricercatori i metodi in vitro.
Ad esempio, per testare le eventuali interferenze elettromagnetiche tra elettrobisturi e dispositivi medici cardiaci, sono stati utilizzati questi tipi di test, leggiamo infatti dalla pubblicazione di uno studio:
“MATERIALS AND METHODS: Using a collagen-based saline gel, three implantable pulse generators (pacemakers) and three implantable cardioverter defibrillators were tested to measure the EMI from two commonly used hyfrecators. The six devices were tested using the hyfrecator under normal use settings and on maximum power.
[…]
CONCLUSION: Hyfrecators are safe to use in patients with defibrillators and can be used in pacemaker patients within 2 inches of the device perimeter.”[7].
Riportiamo in aggiunta un articolo del “Journal Watch Dermatology” riguardante questo esperimento, in grado di spiegare in maniera migliore come siano riusciti a simulare l’ambiente cardiaco per l’operazione:
“To assess the electromagnetic interference potential of these devices and possible problems in patients with cardiac rhythm management devices, these investigators simulated hyfrecator cutaneous surgery in a simulated cardiac environment.
The simulated cardiac environment consisted of a collagen-based saline gel with resistivity similar to human soft tissue, three implantable pulse generators (pacemakers), and three implantable cardioverter defibrillators.”[8].
In un altro esperimento, riguardante la valutazione dell’interferenza elettromagnetica tra i dispositivi cardiaci e i sistemi oftalmici laser, è stata utilizzata una camera toracica simulata, leggiamo dalla pubblicazione:
“Two implantable devices, one Victory dual-chamber IPG (St Jude Medical, Minneapolis, MN, USA) and one Atlas II + dual-chamber ICD (St Jude Medical), were consecutively placed in a simulated th
oracic chamber and exposed to three ophthalmic laser systems: the VISX Star S4 Excimer Laser, Lumenis Selecta II 532 neodymium-doped yttrium aluminium garnet (Nd:YAG) laser, and Ellex Ultra Q 1064 nm Nd:YAG laser. […] The pacing and defibrillation function of the implantable devices, including electrograms, were continuously monitored. […] The devices were placed in simulated thoracic chambers. The two test chambers consisted of plastic containers measuring 8 in. × 11 in. × 4 in. The Victory IPG was connected to two Tendril DX™ model 1388T pacing leads. The Atlas II + ICD was connected to a Tendril DX™ 1488 in the atrial port. The Riata model 1580 ICD true bipolar and Riata i™ model 1590 integrated bipolar leads were used during the testing in the ventricular port. The devices were placed in foam blocks to stabilize the leads in a position simulating the orientation and implant position as they would be in a patient. The distance between the high-voltage power supply of the laser systems and the CIEDs was <36 in. The devices were immersed in the saline test bath. The test containers were filled with distilled water and NaCl producing a pacing impedance of ∼500 Ω. This in vitro test model is the standard method to evaluate electromagnetic compatibility for implantable pacemakers and defibrillators.” [9]
Anche un’ulteriore pubblicazione, “In vitro tests reveal sample radiofrequency identification readers inducing clinically significant electromagnetic interference to implantable pacemakers and implantable cardioverter-defibrillators”, viene riportato lo stesso metodo utilizzato in precedenza:
“Methods
During in vitro testing, 15 implantable pacemakers and 15 ICDs were exposed to 13 passive RFID readers in 3 frequency bands: 134 kHz (low frequency [LF]), 13.56 MHz (high frequency [HF]), and 915 MHz (ultra high frequency [UHF]).”[10]
Infatti nella figura 1 [http://ars.els-cdn.com/content/image/1-s2.0-S1547527109011461-gr1.jpg] viene mostrato un simulatore del dorso umano su cui testare questi dispositivi:
Questo modello è utile anche per la ricerca sul comportamento elettrochimico di stimolazione/sensing dei materiali per l’applicazione degli elettrodi del pacemaker, leggiamo infatti:
“The electrochemical behavior, interfacial properties, and stability of Pt, Ti, smooth and rough TiN electrodes for pacemaker applications were investigated in a phosphate-buffered saline solution, by electrochemical impedance spectroscopy and cyclic voltammetry (CV), as well as surface analysis using scanning electron microscopy and X-ray photoelectron spectroscopy.”[11]
Pertanto, attraverso un simulatore di tronco che riproduca le costanti elettriche caratteristiche dei tessuti biologici umani, è possibile valutare la compatibilità elettromagnetica del pacemaker, in accordo con lo standard internazionale ANSI/AAMI PC69:2007.
La compatibilità elettromagnetica del pacemaker deve infatti venir verificata, ad ogni frequenza, sia in modalità pacing che sensing. Nel primo caso, il pacemaker lavora in modo tale da fornire una stimolazione continua ad una frequenza fissa e l’esposizione al campo elettromagnetico non deve alterare questa condizione di lavoro. In modalità sensing, invece, sugli elettrodi del simulatore di tronco viene applicato un segnale che riproduce l’attività fisiologica del cuore (segnale ECG); il pacemaker viene programmato in modo tale da poter riconoscere il segnale e deve interrompere la propria attività, senza subire interferenze da parte del campo elettromagnetico esterno. [12]
In aggiunta, si è scoperto come sia possibile stimolare elettricamente cardiomiociti utilizzando pacemaker, sebbene questo metodo sia stato utilizzato per scopi diversi da quelli di cui stiamo argomentando [13].
Dove generalmente vengono usate cellule di ratto, è possibile utilizzare cellule umane e cellule cresciute in un ambiente 3D, per queste ultime, ad esempio, leggiamo:
“To the authors’ knowledge, this is the first electro-mechanical bioreactor system to simulate the electrical and mechanical response of the myocardium in vivo.”[14]
E’ inoltre possibile utilizzare miocardiociti derivanti da cellule staminali embrionali:
“Cardiomyocyte monolayers (HL-1 cells) or embryonic stem cell-derived cardiomyocytes were used as two- and three-dimensional cardiac pacemaker models.” [15]
Infine, per quanto riguarda il tessuto umano, le colture organotipiche di tessuto cardiaco provenienti da adulti umani a seguito di operazioni chirurgiche, rappresentano un valido sostituto al tessuto animale, soprattutto a seguito di differenze nella composizione cellulare e subcellulare del miocardio tra le specie:
“Due to major differences in the cellular and subcellular composition of the myocardium between species, the use of human heart tissue is highly desirable. To enhance the experimental use of the human myocardium, we established methods for the preparation of vital tissue slices from the adult ventricular myocardium as well as conditions for their long-term preservation in organotypic culture.
Methods and resultsHuman ventricular heart samples were derived from surgical specimens excised during a therapeutic Morrow myectomy and cut into 300 μm thick slices. […] Viability and functionality were proven by viability staining, enzyme activity tests, intracellular potential recordings, and force measurements. […] Acute slices developed excitation-dependent contractions with a clear preload dependency and a β-adrenergic response. […]
Conclusion Organotypic heart slices represent a multicellular model of the human myocardium and a novel platform for studies ranging from the investigation of molecular interactions to tissue engineering.”
All’interno dell’articolo, leggiamo, sempre a proposito delle differenze specie-specifiche tra il miocardio umano e quello degli altri mammiferi, sebbene il fine per il quale tali modelli siano usati è diverso (sviluppo di farmaci):
“The development of cardiac drugs requires complex and functionally intact experimental models. Models of the myocardium that comprise an intact multicellular tissue composition have been based mainly on animal experiments or animal organ preparations (e.g. perfused hearts). However, due to major differences in the cellular and molecular properties of the myocardium between human and other mammalian species, data from such test systems are of limited significance for the human situation.” [16]
Passiamo brevemente al secondo punto:
L’uso di manichini high-tech, sebbene abbia anch’esso delle limitazioni, potrebbe essere molto utile per quanto riguarda lo studio di tecniche operatorie necessarie all’impianto di pacemaker.
Non a caso, vengono già utilizzati per la didattica in diverse facoltà universitarie, tra cui quella di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, grazie al CeSiMeT, e riportiamo dal loro sito:
“Sul lettino della sala operatoria virtuale del Centro di simulazione medica e training – CeSiMet, frutto della collaborazione tra l’Ateneo e la società Acaya, c’è un manichino-robot in grado di simulare le condizioni di un paziente, di reagire agli stimoli e alle terapie. Tutto grazie a un simulatore come quelli utilizzati in aeronautica: il manichino è in grado di parlare, lamentarsi, respirare e anche di morire, in caso di intervento fallito o di cure non adeguate.
“Questo di Tor Vergata è il secondo Centro di simulazione in una Università pubblica italiana, dopo quello dell’ateneo di Perugia – spiega il preside della facoltà di Medicina Giuseppe Novelli – Gli studenti potranno operare chirurgicamente, praticare un angioplastica o un massaggio cardiaco, effettuare visite ortopediche o urologiche e mettere i punti di sutura in caso di ferite “virtuali”, senza alcun rischio per il paziente”.
A gruppi di 4/5 si eserciteranno nella sala operatoria mentre il resto della classe potrà seguire le operazioni in aula attraverso un monitor e telecamere collegate con il CeSiMet. A operazione finita il docente, insieme agli studenti, analizzerà tutte le fasi registrate da un computer collegato ai macchinari, correggendo gli eventuali errori.
La società Acaya e l’ateneo potranno rilasciare anche i patentini dell’American Heart Association per la prevenzione e la cura delle emergenze cardiache e respiratorie.”
Infine, passiamo ai test di biocompatibilità in vitro:
I pro-SA affermano: “L’articolo in questione si limita evidenziare la presenza di alcuni test di screening iniziale per valutare la compatibilità dei soli materiali impiegati dal punto di vista della citotossicità e della emocompatibilità.”
L’articolo invece parla di biocompatibilità di biomateriali e dispositivi medici. La biocompatibilità è l’attitudine di un materiale ad essere ben tollerato dall’organismo ospite in cui deve operare, determinando una risposta opportuna in relazione all’applicazione da parte di quest’ultimo. I biomateriali usati come dispositivi medici devono essere testati prima della loro introduzione, in modo tale che ogni effetto negativo sul corpo umano sia conosciuto e prevenuto, e ciò è possibile farlo grazie anche a queste tecnologie.
Citando la pubblicazione, ma non essendo presente nel testo originale, i pro-SA affermano: “allo stato attuale per poter testare i dispositivi pacemaker non abbiamo altri mezzi se non l’utilizzo del modello animale che permette di avere a disposizione un modello biologico che rappresenta molto bene il cuore umano dal punto di vista fisiologico.”
Al contrario lo stesso articolo afferma, a dispetto della loro affermazione sul modello animale che a dir loro “rappresenta molto bene il cuore umano”:
“ISO 10993-4 requires that human blood is used for in vitro tests where possible because of species differences in blood reactivity. Pig and baboon are suitable animal models, but species differences may be significant; for example, platelet adhesion, thrombosis and haemolysis tend to occur more readily in the canine species than in the human. Thus, all results of animal studies should be interpreted with cautionbecause they run the risk of misjudgement.”[1]
Infatti il paper a cui si riferiscono (Müller U., In vitro biocompatibility testing of biomaterials and medical devices. Med Device Technol. 2008 Mar-Apr;19(2):30, 32-4) afferma che vi siano differenze nel sangue tra animali e umani tali da obbligare l’uso nei test in vitro di sangue umano per evitare le differenze tra specie tra uomo e animale, come per esempio processi come l’adesione piastrinica, l’emolisi o le trombosi, processi che avvengono in tempi diversi a seconda delle specie e quindi non utili per l’uomo. Müller specifica che i risultati su studi in animali devono essere “interpretati con cautela” perchè incorrono nel “rischio di essere erroneamente giudicati”.
Inoltre, in un’ulteriore pubblicazione riguardante la biocompatibilità in vitro, i risultati ottenuti usando questa metodologia vengono definiti maggiormente riproducibili e predittivi di quelli ottenuti da studi in vivo (su animali):
“By definition, a biocompatible biomaterial does not have toxic or injurious effects on biological systems. […] In vitro toxicity examinations are more favorable than those performed in vivo, as the results are more reproducible and predictive. In this paper, basic in vitro tools were used to evaluate cellular and molecular responses with regard to the biocompatibility of biomedical-grade chitosan. Three paramount experimental parameters of biocompatibility in vitro namely cytocompatibility, genotoxicity and skin pro-inflammatory cytokine expression, were generally reviewed for biomedical-grade chitosan as wound dressing.”[17]
La ricerca sui metodi alternativi sostitutivi nell’area dei biomateriali e dispositivi medici è un area in continuo sviluppo, per legge un nuovo materiale o dispositivo per essere approvato all’utilizzo clinico deve seguire la “Medical Device Directive” (Council Directive 93/42/EEC of 14 June 1993 concerning medical devices) e la “Active Implantable Medical Device Directive” (“Council Directive 90/385/EEC of 20 June 1990 on The Approximation of The Law of the Member States Relating to Active Implantable Medical Devices”), che definiscono i requisiti della valutazione clinica dei dispositivi medici, mentre per controllare la biocompatibilità di un prodotto o i suoi componenti si segue la ISO 10993. I biomateriali usati nei dispositivi medici devono essere testati in accordo con la ISO 109931 prima della loro introduzione nel corpo del paziente così che ogni effetto negativo sul corpo venga conosciuto e prevenuto, ma come gli autori specificano usando test di laboratorio in vitro, “pericoli per i pazienti ed esperimenti su animali non necessari possono essere evitati” (“By using in vitro laboratory tests, dangers for patients and unnecessary animal experiments can be avoided”). A questo fine più branche della ricerca possono unire le loro conoscenze ed applicarle a problemi specifici, per esempio colture cellulari 3D e bioreattori multicompartimentali modulari potrebbero essere usati per studiare interazioni tra il sangue umano e il biomateriale da testare e i cambiamenti nella qualita’ dei componenti del sangue (eritrociti, leucociti, trombociti etc) e biomarkers di infiammazione si potrebbero analizzare attraverso test di biologia molecolare applicati a devices più complessi che misurano la durata del contatto e le reazioni da contatto del sangue al device in esame, in questo caso un sistema dinamico, come quello fornito da bioreattori modulari multicompartimentali, potrebbe essere utile per analizzare più parametri in un sistema fluidico e dinamico, simile alla circolazione sanguigna nell’uomo.
Note:
[1] Müller U. In vitro biocompatibility testing of biomaterials and medical devices. Med Device Technol. 2008 Mar-Apr;1
9(2):30, 32-4.
[2] Glukhov AV, Flagg TP, Fedorov VV, Efimov IR, Nichols CG. Differential K(ATP) channel pharmacology in intact mouse heart. J Mol Cell Cardiol. 2010 Jan;48(1):152-60. doi: 10.1016/j.yjmcc.2009.08.026. Epub 2009 Sep 8.
[3] Fedorov VV, Glukhov AV, Ambrosi CM, Kostecki G, Chang R, Janks D, Schuessler RB, Moazami N, Nichols CG, Efimov IR. Effects of KATP channel openers diazoxide and pinacidil in coronary-perfused atria and ventricles from failing and non-failing human hearts. J Mol Cell Cardiol. 2011 Aug;51(2):215-25. doi: 10.1016/j.yjmcc.2011.04.016. Epub 2011 May 7.
[4] Diana Lutz. New study calls into question reliance on animal models in cardiovascular research. Human hearts respond differently than mouse hearts to two cardiovascular drugs, August 3, 2011. Washington University in St. Louis.
[5] Aboud E, Suarez CE, Al-Mefty O, Yasargil MG. New alternative to animal models for surgical training. Altern Lab Anim. 2004 Jun;32 Suppl 1B:501-7.
[6] Olabe J, Olabe J, Sancho V. Human cadaver brain infusion model for neurosurgical training. Surg Neurol. 2009 Dec;72(6):700-2. doi: 10.1016/j.surneu.2009.02.028. Epub 2009 Aug 6.
[7] Weyer C, Siegle RJ, Eng GG. Investigation of hyfrecators and their in vitro interference with implantable cardiac devices. Dermatol Surg. 2012 Nov;38(11):1843-8. doi: 10.1111/j.1524-4725.2012.02526.x. Epub 2012 Aug 13.
[8] Murad Alam. Hyfrecators: No In Vitro Interference with Implantable Cardiac Devices. Journal Watch Dermatology February 22, 2013.
[9] Sher NA, Golben MP, Kresge K, Selznick L, Adabag S. An in vitro evaluation of electromagnetic interference between implantable cardiac devices and ophthalmic laser systems. Europace. 2011 Apr;13(4):583-8. doi: 10.1093/europace/euq495. Epub 2011 Jan 19.
[10] Seidman SJ, Brockman R, Lewis BM, Guag J, Shein MJ, Clement WJ, Kippola J, Digby D, Barber C, Huntwork D. In vitro tests reveal sample radiofrequency identification readers inducing clinically significant electromagnetic interference to implantable pacemakers and implantable cardioverter-defibrillators. Heart Rhythm. 2010 Jan;7(1):99-107. doi: 10.1016/j.hrthm.2009.09.071. Epub 2009 Oct 12.
[11] Norlin A, Pan J, Leygraf C. Investigation of electrochemical behavior of stimulation/sensing materials for pacemaker electrode applications. J Electrochem Soc. 2005;152:J7–J15.
[12] Eugenio Mattei, Giovanni Calcagnini, Federica Censi, Michele Triventi, Antonello Delogu, Pietro Bartolini. Semi-automatic system to test the electromagnetic compatibility of a pacemaker according to the standards EN 45502-2-1:2004 e ANSI/AAMI PC69:2000. Istituto Superiore di Sanità 2007, 26 p. Rapporti ISTISAN 07/21 (in Italian)
[13] Martherus RS, Zeijlemaker VA, Ayoubi TA. Electrical stimulation of primary neonatal rat ventricular cardiomyocytes using pacemakers. Biotechniques. 2010 Jan;48(1):65-7. doi: 10.2144/000113308.
[14] Feng Z, Matsumoto T, Nomura Y, Nakamura T. An electro-tensile bioreactor for 3-D culturing of cardiomyocytes. A bioreactor system that simulates the myocardium’s electrical and mechanical response in vivo. IEEE Eng Med Biol Mag. 2005 Jul-Aug;24(4):73-9.
[15] Fahrenbach JP, Mejia-Alvarez R, Banach K. The relevance of non-excitable cells for cardiac pacemaker function. J Physiol. 2007 Dec 1;585(Pt 2):565-78. Epub 2007 Oct 11.
[16] Brandenburger M, Wenzel J, Bogdan R, Richardt D, Nguemo F, Reppel M, Hescheler J, Terlau H, Dendorfer A. Organotypic slice culture from human adult ventricular myocardium. Cardiovasc Res. 2012 Jan 1;93(1):50-9. doi: 10.1093/cvr/cvr259. Epub 2011 Oct 4.
[17] Keong LC, Halim AS. In vitro models in biocompatibility assessment for biomedical-grade chitosan derivatives in wound management. Int J Mol Sci. 2009 Mar;10(3):1300-13. doi: 10.3390/ijms10031300. Epub 2009 Mar 18.
[C.N.][A.C.]