Archivi del mese: febbraio 2013

Metodologie Non-Animali nella Ricerca Biomedica e nella Sperimentazione Tossicologica

[Knight A. Non-animal methodologies within biomedical research and toxicity testing. ALTEX. 2008;25(3):213-31.]

Sono stati descritti protocolli di test di tossicità che utilizzino combinazioni di metodiche senza animali, ad esempio, dall’UK Department of Health (2000), da Worth and Balls (2002), Knight e colleghi (2006a), Combes (2007), e Combes e colleghi (2007). Dovrebbero includere elementi appropriati al caso individuale, che sarebbero normalmente condotti in sequenza, come mostrato nella figura.

Non tutti i test saranno necessari in ogni caso, soprattutto quando i dati di positiva tossicità sono ottenuti nei primi stadi. L’appropriato livello di sperimentazione sarà influenzato da fattori come volumi di produzione, rischi di esposizione umana e disposizioni regolatorie o legislative.

Non tutte le metodologie appropriate sono state validate o adottare da autorità regolatorie. Tuttavia, confronti ed esami appropriati dei dati più bersagliati ottenuti attraverso questi schemi di sperimentazione ci forniscono prove importanti della maggiore predittività per la tossicità umana rispetto a quella offerta dai tradizionali test su animali.
Ci possono, inoltre, facilitare nella (maggior) comprensione dei meccanismi di tossicità.

Un elenco definitivo delle metodologie non-animali di ricerca e sperimentazione sarebbe possibile solo dedicando diversi volumi a questo tema. In ogni caso, è chiaro anche da questo breve documento che esiste un’ampia gamma di strumenti investigativi che potenzialmente potrebbero rimpiazzare l’uso di animali nella ricerca biomedica e nella sperimentazione tossicologica. Questi includono meccanismi che migliorino la condivisione e la valutazione di dati prima di condurre ulteriori studi; valutazione fisico-chimica e modelli computerizzati, incluso l’uso di SAR e sistemi esperti; l’uso di microorganismi e piante superiori.
Una grande varietà di colture tissutali sono disponibili, incluse linee di cellule immortalizzate, cellule staminali embrionali ed adulte e colture organotipiche. Saggi in vitro che utilizzino colture cellulari di batteri, lieviti, protozoi, di mammiferi o umane esistono per un ampio spettro di rilevamento di sostanze tossiche e di altra natura. Possono essere usati individualmente o combinati in batterie, e mantenuti statici o perfusi. Colture di epatociti umani e sistemi di attivazione metabolica possono facilitare l’identificazione di vie metaboliche, determinazione dei metaboliti prodotti e valutazione dell’interazione organo-organo. La tecnologia dei microarray può permettere la profilatura dell’espressione genica di tossine, aumentando la loro velocità di individuazione, ben prima di altri test più invasivi.
Prove cliniche umane potenziate attraverso il microdosing, oltre a tessuti umani surrogati, avanzate modalità di imaging e studi epidemiologici, sociologici e psicologici possono aumentare la nostra comprensione dell’eziologia e della patogenesi, facilitando lo sviluppo di interventi farmacologici sicuri ed efficaci.
I metodi non-animali non possono, ovviamente, provvedere a rispondere a tutte le domande sugli umani, soprattutto a causa delle presenti limitazioni tecnologiche.
Tuttavia, lo stesso vale certamente per i modelli animali, che hanno, in aggiunta, una più limitata capacità di ulteriore sviluppo.
Inoltre, i modelli non-animali possono offrire certi importanti vantaggi, quando sono comparati all’uso di animali.
Particolarmente quando sono usati umani o tessuti umani, queste alternative possono generare risultati più veloci e più economici, sono più attendibili e predittivi per gli umani e possono portare a grandi intuizioni nei processi biochimici umani.

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Riferimenti Bibliografici:

Department of Health (DH) (UK): Committee on Mutagenicity of Chemicals in Food, Consumer Products and the environment (2000).  Guidance on a Strategy for Testing of Chemicals for Mutagenicity. London, UK: DH.

Worth, A. P. and Balls, M. (eds.) (2002). Alternative (non-animal) methods for chemicals testing: current status and future prospects. A report prepared by ECVAM and the ECVAM Working Group on Chemicals. ATLA 30 Suppl. 1, 1-125.

Knight, A., Bailey, J. and Balcombe, J. (2006a). Animal carcinogenicity studies: 3. Alternatives to the bioassay. ATLA 34(1), 39-48.

Combes, R. (2007). Developing, validating and using test batteries and tiered (hierarchical) testing schemes. ATLA 35, 375-378.

Combes, R., Grindon, C., Cronin, M. T. et al. (2007). Proposed integrated decision-tree testing strategies for mutagenicity and carcinogenicity in relation to the EU REACH legislation. ATLA 35(2), 267-287.

Microstimolazione elettrica

Mentre con la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) si può inibire o stimolare la corteccia cerebrale in modo non invasivo, per le aree sottocorticali è possibile utilizzare microstimolazioni elettriche di durata limitata e reversibili.
Spesso lo si richiede a volontari che devono subire interventi di neurochirurgia, ad esempio, nel caso di pazienti affetti da Parkinson:

“The present study examined the effects of microstimulation in GPi on the activity of neurons close to the stimulation site.“

“The spontaneous activity of nearly all of the cells (22/23) recorded in GPi in three patients was inhibited by microstimulation at currents typically <10 μA (0.15-ms pulses at 5 Hz). The inhibition had a duration of 10–25 ms at threshold.”

[Dostrovsky JO, Levy R, Wu JP, Hutchison WD, Tasker RR, Lozano AM. Microstimulation-induced inhibition of neuronal firing in human globus pallidus. J Neurophysiol. 2000 Jul;84(1):570-4.]
http://jn.physiology.org/content/84/1/570.short

Qui, su 4 pazienti che dovevano subire un intervento di chirurgia stereotassica:

“Dual microelectrode recordings were performed during stereotactic surgery in 4 patients. Well-isolated high-amplitude units were stimulated extracellularly through the recording microelectrode with 0.5-second trains of high frequency (200 Hz) and low current (≤ 5 μA).”

“In the majority (92%) of SNr neurons, this type of stimulation led to a period of inhibition lasting several hundreds of milliseconds following the end of the train.”

“In previous studies they have shown that microstimulation in the internal globus pallidus, which is functionally similar to the SNr, inhibits firing, whereas similar microstimulation in the STN has minimal effect.”

“The aim of the current study was to examine and compare the aftereffects of local high-frequency microstimulation through the recording electrode on the firing of neurons in the subthalamic nucleus (STN) and the substantia nigra pars reticulata (SNr) in patients undergoing surgery for deep brain stimulation.”

[Lafreniere-Roula M, Hutchison WD, Lozano AM, Hodaie M, Dostrovsky JO. Microstimulation-induced inhibition as a tool to aid targeting the ventral border of the subthalamic nucleus. J Neurosurg. 2009 Oct;111(4):724-8. doi: 10.3171/2009.3.JNS09111.]
http://thejns.org/doi/abs/10.3171/2009.3.JNS09111%40col.2012.117.issue-1?journalCode=col

E ancora:

“To examine the possibility that impaired inhibition and synaptic plasticity within the basal ganglia play a role in dystonia, the present study used a pair of microelectrodes to test paired pulse inhibition in the globus pallidus interna (GPi) and substantia nigra pars reticulata (SNr) of dystonia and PD patients undergoing implantation of deep brain stimulating (DBS) electrodes.”

[Prescott IA, Dostrovsky JO, Moro E, Hodaie M, Lozano AM, Hutchison WD. Reduced paired pulse depression in the basal ganglia of dystonia patients. Neurobiol Dis. 2013 Mar;51:214-21. doi: 10.1016/j.nbd.2012.11.012. Epub 2012 Nov 29.]
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0969996112003750

Micro-tomografia a raggi-X

Gli scienziati dell’ Hellenic Centre for Marine Research sono riusciti a vedere l’interno di un organismo senza toccarlo attraverso la micro-tomografia a raggi-X, che consente di scendere a una profondità di dettagli sbalorditiva, ed è ottima per la scansione di organismi molto piccoli.
Si tratta di una tecnica simile a quella della classica Tac usata a scopo medico, che da poco tempo viene impiegata nello studio sistematico della tassonomia.
La tomografia serve a visualizzare sezioni trasversali di corpi tridimensionali, allo scopo di costruirne in seguito un modello virtuale, senza bisogno di intaccare l’oggetto in esame.
L’obiettivo di questa ricerca, appena pubblicata sulla rivista peer-reviewed “ZooKeys”, è quello di realizzare un archivio digitale con tutte le visualizzazioni create, e contribuire in questo modo al lavoro degli zoologi nell’identificazione delle creature del Pianeta. Per il momento i ricercatori sono partiti da piccole creature tipiche della fauna marina del Mediterraneo.

Abstract:

Continuous improvements in the resolution of three-dimensional imaging have led to an increased application of these techniques in conventional taxonomic research in recent years. Coupled with an ever increasing research effort in cybertaxonomy, three-dimensional imaging could give a boost to the development of virtual specimen collections, allowing rapid and simultaneous access to accurate virtual representations of type material. This paper explores the potential of micro-computed tomography (X-ray micro-tomography), a non-destructive three-dimensional imaging technique based on mapping X-ray attenuation in the scanned object, for supporting research in systematics and taxonomy. The subsequent use of these data as virtual type material, so-called “cybertypes”, and the creation of virtual collections lie at the core of this potential. Sample preparation, image acquisition, data processing and presentation of results are demonstrated using polychaetes (bristle worms), a representative taxon of macro-invertebrates, as a study object. Effects of the technique on the morphological, anatomical and molecular identity of the specimens are investigated. The paper evaluates the results and discusses the potential and the limitations of the technique for creating cybertypes. It also discusses the challenges that the community might face to establish virtual collections. Potential future applications of three-dimensional information in taxonomic research are outlined, including an outlook to new ways of producing, disseminating and publishing taxonomic information.

[Sarah Faulwetter, Aikaterini Vasileiadou, Michail Kouratoras, Thanos Dailianis, Christos Arvanitidis. Micro-computed tomography: Introducing new dimensions to taxonomy. ZooKeys 263 (2013) : 1-45]

ABSTRACT: http://www.pensoft.net/journals/zookeys/article/4261/abstract/micro-computed-tomography-introducing
FULL TEXT: http://www.pensoft.net/journals/zookeys/article/4261/micro-computed-tomography-introducing

Correlazione progetto REACH e direttiva 2003/15/CE

Molte sostanze presenti nei cosmetici, sono dannose, è bene ricordarlo. Ovviamente partiamo dall’assunto secondo il quale un veleno non lo fa la sostanza, ma la quantità. Ma perché vi è una stretta correlazione tra il progetto REACH e i test in cosmetica? 
Occorre dire che non esistono sostanze utilizzate prevalentemente nei prodotti di bellezza oppure, ad esempio, nei medicinali. Molte sostanze possono essere utilizzate in più campi, ecco perché la dicitura della Direttiva 2003/15/CE, secondo la quale anche i singoli ingredienti non possono essere testati sugli animali, risulta un po’ falsata. La “sicurezza“ (se di sicurezza si può parlare), si avrà solamente sul prodotto finito, che non potrà essere testato. Nulla da dire a riguardo, è sicuramente un passo avanti. 

Per chiarire, alcuni esempi: in uno stick contro l’acne di una famosa marca di cosmetici, é possibile trovare, tra gli ingredienti, il triclosano, un antisettico e battericida. 
In un rapporto della Comunità Europea del 2010, a proposito del triclosano possiamo leggere che:

“Triclosan was listed in 1986 in the European Community Cosmetics Directive (76/768/EEC) for use as a preservative in cosmetic products at concentrations up to 0.3%. The recent risk assessment performed by the EU Scientific Committee on Consumer Products (SCCP) concluded that, although its use at a maximum concentration of 0.3% in toothpastes, hand soaps, body soaps/shower gels and deodorant sticks was considered safe on a toxicological point of view in individual products, the magnitude of the aggregate exposure to triclosan from all cosmetic products is not safe. Any additional use of triclosan in face powders and blemish concealers at this concentration was also considered safe, but the use of triclosan in other leave-on products (e.g. body lotions) and in mouthwashes was not considered safe for the consumer due to the resulting high exposures. Inhalation exposure to triclosan from spray products (e.g. deodorants) was not assessed” [1]
Recentemente (maggio 2012), quindi, in nome del progetto REACH, è stato commissionato ad un istituto danese, uno studio sugli interferenti endocrini, tra i quali troviamo il triclosano [2]. Nella ricerca si può leggere che “Epidemiological data are too limited for an evaluation of endocrine disrupting effects of triclosan”. Lecito è domandarsi il perché di questi dati troppo limitati, dal momento che stiamo parlando di una sostanza inventata nel 1972. Ricerche per e sull’essere umano, infatti, sono state compiute, tra le altre segnaliamo:
“Effect of a triclosan/copolymer dentifrice on the incidence of periodontal attachment loss in adolescents“, Ellwood RP, Worthington HV, Blinkhorn AS, Volpe AR, Davies RM, Dental Health Unit, University of Manchester, UK, 1998 May;25(5):363-7, PMID: 9650871; “Triclosan: a critical review of the experimental data and development of margins of safety for consumer products“, Rodricks JV, Swenberg JA, Borzelleca JF, Maronpot RR, Shipp AM, ENVIRON International Corporation, Arlington, Virginia, USA, 2010 May;40(5):422-84. doi: 10.3109/10408441003667514, PMID: 20377306; “The effect of triclosan on hormone secretion and viability of human choriocarcinoma JEG-3 cells“, Honkisz E, Zieba-Przybylska D, Wojtowicz AK, Laboratory of Genomics and Biotechnology, University of Agriculture, Poland, 2012 Nov;34(3):385-92. doi: 10.1016/j.reprotox.2012.05.094. Epub 2012 Jun 4, PMID: 22677473; “Halogenated phenolic contaminants inhibit the in vitro activity of the thyroid-regulating deiodinases in human liver“, Butt CM, Wang D, Stapleton HM, Nicholas School of the Environment, Duke University, USA, Toxicol Sci. 2011 Dec;124(2):339-47. doi: 10.1093/toxsci/kfr117. Epub 2011 May 11, PMID: 21565810; “Triclosan: environmental exposure, toxicity and mechanisms of action“, Dann AB, Hontela A, Department of Biological Sciences, Alberta Water and Environmental Science, Canada, J Appl Toxicol. 2011 May;31(4):285-311. doi: 10.1002/jat.1660, PMID: 21462230; “The impact of bisphenol A and triclosan on immune parameters in the U.S. population, NHANES 2003-2006“, Clayton EM, Todd M, Dowd JB, Aiello AE, Department of Epidemiology, Center for Social Epidemiology and Population Health, University of Michigan, USA, Environ Health Perspect. 2011 Mar;119(3):390-6. doi: 10.1289/ehp.1002883. Epub 2010 Nov 9, PMID: 21062687. 

Nell’ambito del progetto REACH, le diverse imprese chimiche hanno ricevuto l’obbligo di testare e preparare delle schede di sicurezza “Safety Datasheet“ [3], relative alle diverse sostanze. Tra queste, é possibile trovare quella del petrolato, scoperto nel 1859, e utilizzato, in cosmetica, in creme, bagnoschiuma, oli o talchi per rendere la pella più morbida e levigata (a titolo di esempio [4] [5]). Anche in questo caso, ricerche sul petrolato erano già state condotte, non riusciamo quindi a capacitarci del fatto che le diverse imprese abbiano dovuto condurne di nuove.
Tra le altre: “Ototoxicity of baby oil in a chinchilla animal model“, Al-Jarallah A, Akinpelu OV, Citra D, Daniel SJ, McGill Auditory Sciences Laboratory, Montreal Children’s Hospital, Canada, Int J Pediatr Otorhinolaryngol. 2012 Apr;76(4):564-8. doi: 10.1016/j.ijporl.2012.01.018. Epub 2012 Feb 19, PMID: 22348846; “Comedogenicity in rabbit: some cosmetic ingredients/vehicles“, Nguyen SH, Dang TP, Maibach HI, Dermatology Department, University of California at San Francisco Medical School, San Francisco, USA, Cutan Ocul Toxicol. 2007;26(4):287-92, PMID: 18058303; “Respiratory toxicology of mineral oils in laboratory animals“, Dalbey WE, Biles RW, ExxonMobil Biomedical Sciences, Inc., Annendale, NJ, USA, Appl Occup Environ Hyg. 2003 Nov;18(11):921-9, PMID: 14555445.

Il biossido di titanio (TiO2), viene utilizzato nei prodotti di bellezza, per la sua capacità di filtraggio dei raggi UV. Secondo gli studi condotti dal “Titanium Dioxide Industry REACH consortium“, nominato dalla CE, il TiO2 é classificato come “as non-hazardous for all end-points and so all Uses are acceptable“ [6]. Tuttavia alcuni studi affermano il contrario, come ad esempio: “The widespread use of titanium dioxide (TiO2) nanoparticles in consumer products increases the probability of exposure to humans and the environment. Although TiO2 nanoparticles have been shown to induce DNA damage (comet assay) and chromosome damage (micronucleus assay, MN) in vitro […]“[7] oppure “The small size of NPs facilitates their uptake into cells as well as transcytosis across epithelial cells into blood and lymph circulation to reach different sites, such as the central nervous system. Different studies have shown the risks that TiO2 NPs in the neuronal system and other organs present“ [8].

NOTA: molti degli articoli riportati si basano proprio sulla sperimentazione animale. Questo, non perché noi crediamo in qualche modo alla sua efficacia, ma a dimostrazione del fatto che sufficienti dati erano già disponibili, senza che vi fosse bisogno di ricercarne altri.

CONCLUSIONE: il progetto REACH si é effettivamente reso complice di un grosso incremento della sperimentazione sugli animali. Le tre sostanze indicate, a titolo di esempio, sono alcune di quelle che si possono trovare anche nei cosmetici. La correlazione tra progetto REACH e la Direttiva 2003/15/CE, quindi, é velocemente data: il bando degli esperimenti sugli animali, verrà fatto solo dopo che vi saranno sufficienti dati sulle sostanze ricavati proprio dagli stessi. Poco importa, in questo caso, se i singoli componenti non potranno essere testati, visto che una massiccia opera di sperimentazione di quest’ultimi si sta facendo proprio in questi anni. Bisogna poi sempre tener presente che vi è la possibilità di “derogare a tali divieti solo in casi eccezionali, qualora sorgano gravi preoccupazioni riguardo alla sicurezza di un ingrediente cosmetico, previo parere della stessa Commissione europea“ [9].

[1] “Opinion on triclosan, Antimicrobial Resistance“, Scientific Committee on Consumer Safety (SCCS), SCCP/1251/09

[2] “Evaluation of tebuconazole, triclosan, methylparaben and ethylparaben according to the Danish proposal for criteria for endocrine disrupters”, Danish centre on endocrine disrupters, may 2012

[3] “Safety Datasheet for Hazardous Chemicals“, information sheet, Health and Safety Authority, July 2010

[4] BR Petrobas, Petrolatum, Safety Data Sheet, according to Regulation (EC) No. 453/2010, Revision date: 28/07/2011

[5] Acros Organics, Safety Data Sheet, Petrolatum, Revision Date: 19-Apr-2012

[6] http://www.reachcentrum.eu/en/consortiumslt/consortia-under-reach/titanium-dioxide-industry-reach-consortium.aspx

[7] “Effect of Treatment Media on the Agglomeration of Titanium Dioxide Nanoparticles: Impact on Genotoxicity, Cellular Interaction, and Cell Cycle“, Prasad RY, Wallace K, Daniel KM, Tennant AH, Zucker RM, Strickland J, Dreher K, Kligerman AD, Blackman CF, Demarini DM, ACS Nano. 2013 Feb 6, PMID: 23387956

[8] “Toxicity and interaction of titanium dioxide nanoparticles with microtubule protein“, Gheshlaghi ZN, Riazi GH, Ahmadian S, Ghafari M, Mahinpour R, Institute of Biochemistry and Biophysics, Department of Biochemistry, University of Tehran, Acta Biochim Biophys Sin (Shanghai). 2008 Sep;40(9):777-82, PMID: 18776989

[9] http://www.salute.gov.it/cosmetici/paginaDettaglioCosmetici.jsp?id=160&menu=sperimentazione

[S.P.]

Scarsa riproducibilità degli esperimenti su animali per la cancerogenicità

Questo articolo tratta della riproducibilità in vivo della valutazione sul potenziale carcinogenico di 121 sostanze, comparando i risultati provenienti dalla letteratura scientifica generale con quelli del National Cancer Institute/National Toxicology Program (NCI/NTP). Gli autori rilevano il 57% di concordanza a parità di specie (topi e ratti).

Questo studio va a smentire i precedenti risultati che stimavano una riproducibilità del 93% per quanto riguarda i ratti e del 76% per i topi, i quali probabilmente sono viziati da bias:

Looking for an explanation for the discordance with our results, we realized that from 47 concordant experiments (sex, administration route, and target organs were considered; therefore, the number of experiments is larger than the number of compounds) with rats and mice listed by Gold et al. (16), 34 results were published by the same authors. This may have led to a bias towards identical results, but it may be also an indicator of the importance of strict experimental protocols for reproducibility. In addition, the results may differ for statistical reasons caused by the different data sets (size and selection of compounds)

Ovviamente, se la riproducibilità all’interno della stessa specie è così bassa, la trasposizione di questi risultati all’uomo lo sarà ancora meno.

[E Gottmann, S Kramer, B Pfahringer, and C Helma. Data quality in predictive toxicology: reproducibility of rodent carcinogenicity experiments. Environ Health Perspect. 2001 May; 109(5): 509–514.]

FULL TEXT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1240311/pdf/ehp0109-000509.pdf

La risposta genomica dei modelli murini mima MISERAMENTE i disturbi infiammatori umani

Secondo un nuovo studio pubblicato su “PNAS” (“Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America”), la risposta genomica dei modelli murini mima MISERAMENTE i disturbi infiammatori umani.

I risultati della sperimentazione sui topi, infatti, non possono essere trasferiti all’uomo per diversi tipi di patologie (sepsi, traumi, sindrome da distress respiratorio, endotossiemia e ustioni).

Abstract:

“A cornerstone of modern biomedical research is the use of mouse models to explore basic pathophysiological mechanisms, evaluate new therapeutic approaches, and make go or no-go decisions to carry new drug candidates forward into clinical trials. Systematic studies evaluating how well murine models mimic human inflammatory diseases are nonexistent. Here, we show that, although acute inflammatory stresses from different etiologies result in highly similar genomic responses in humans, the responses in corresponding mouse models correlate poorly with the human conditions and also, one another. Among genes changed significantly in humans, the murine orthologs are close to random in matching their human counterparts (e.g., R2 between 0.0 and 0.1). In addition to improvements in the current animal model systems, our study supports higher priority for translational medical research to focus on the more complex human conditions rather than relying on mouse models to study human inflammatory diseases.”

FULL TEXT: http://www.pnas.org/content/early/2013/02/07/1222878110.full.pdf+html

 

[Junhee Seok, H. Shaw Warren, Alex G. Cuenca, Michael N. Mindrinos, Henry V. Baker, Weihong Xu, Daniel R. Richards, Grace P. McDonald-Smith, Hong Gao, Laura Hennessy, Celeste C. Finnerty, Cecilia M. López, Shari Honari, Ernest E. Moore, Joseph P. Minei, Joseph Cuschieri, Paul E. Bankey, Jeffrey L. Johnson, Jason Sperry, Avery B. Nathens, Timothy R. Billiar, Michael A. West, Marc G. Jeschke, Matthew B. Klein, Richard L. Gamelli, Nicole S. Gibran, Bernard H. Brownstein, Carol Miller-Graziano, Steve E. Calvano, Philip H. Mason, J. Perren Cobb, Laurence G. Rahme, Stephen F. Lowry, Ronald V. Maier, Lyle L. Moldawer, David N. Herndon, Ronald W. Davis, Wenzhong Xiao, Ronald G. Tompkins, and the Inflammation and Host Response to Injury, Large Scale Collaborative Research Program

Genomic responses in mouse models poorly mimic human inflammatory diseases

PNAS 2013 ; published ahead of print February 11, 2013, doi:10.1073/pnas.1222878110]

Metodi di ricerca moderni: i modelli ODE

Siamo alla costante ricerca di metodi di studio predittivi e moderni, in contrapposizione a quelli datati e superati dei quali una grande fetta della scienza odierna si avvalla. Un grande passo è proprio rappresentato dall’utilizzo in questo senso dell’equazione differenziale ordinaria (ODE, dall’acronimo inglese “Ordinary differential equation”) in grado di esaminare i comportamenti dinamici dei processi cellulari, con la possibilità di variare (o standardizzare) vari parametri. Indicati cautelativamente ancora come metodo di supporto ai metodi tradizionali, i modelli ODE stanno mostrando la loro efficacia in vari campi, quali ad esempio lo studio del cancro [1] [2] [3], lo studio e la creazione di modelli 3D del sistema circolatorio [4], lo studio del diabete di tipo 1 [5] e lo studio e comprensione dell’osteoporosi e dell’osteomielite [6].

[1] “Simple ODE Models of Tumor Growth and Anti- Angiogenic or Radiation Treatment“, R.K. Sachs, L. R. Hlatky, P. Hahnfeldt, Mathematical and Computer Modelling 33 (2001) 1297-1305
[2] “Predictive mathematical models of cancer signalling pathways“, Journal of Internal Medicine, vol. 271, pag. 155-165, february 2012, DOI: 10.1111/j.1365-2796.2011.02492.x;
[3] “An ordinary differential equation model for the multistep transformation to cancer“, Spencer SL, Berryman MJ, García JA, Abbott D., 2004 Dec 21, PMID: 15488528
[4] “Analysis of a Geometrical Multiscale Model Based on the Coupling of ODEs and PDEs for Blood Flow Simulations“, A. Quaternoni, A. Veneziani, Multiscale Model. Simul., 1(2), 173–195. (23 pages)
[5] “Integrated model of metabolism and autoimmune response in β-cell death and progression to type 1 diabetes“, Marinković T, Sysi-Aho M, Orešič M., 2012;7(12):e51909. doi: 10.1371, PMID: 23251651
[6] Modelling osteomyelitis, Liò P, Paoletti N, Moni MA, Atwell K, Merelli E, Viceconti M., 2012;13 Suppl 14:S12. doi: 10.1186/1471-2105-13-S14-S12. Epub 2012 Sep 7, PMID: 23095605

[S.P.]

Opposizione Etica alla Sperimentazione Animale: La Coscienza negli Animali

Nonostante esistano svariate definizioni di “coscienza” nell’uso comune, in questa sede la indicheremo come la consapevolezza degli stimoli esterni ed interni da parte di un soggetto, umano o non-umano che sia.
Numerosi studi affermano che gli animali abbiano almeno semplici livelli di consapevolezza e la ricerca di correlati neurali della coscienza non ha trovato alcuna struttura né processo che sia limitato al cervello umano.
Inoltre, certi tipi di condizionamento classico richiedono la consapevolezza, nei soggetti umani, di una contingenza tra lo stimolo incondizionato e quello condizionato.
Ciò suggerisce, dunque, che vi sia una coscienza comparabile in animali similmente condizionati.
Un altro esempio significativo di comportamento versatile che suggerisce un pensiero cosciente è quello di un uccello (l’ aphelocoma californica) che, in alcuni studi, esibisce tutti i requisiti della memoria episodica.
A questo caso si aggiungono le prove che le scimmie talvolta sono coscienti di conoscere ciò che sanno.
Il comportamento dei ratti, poi, diretto verso un obiettivo, insieme alla creativa abilità dei corvi nel creare attrezzi, richiedono almeno una semplice coscienza non-riflessiva.
Oltre a ciò, le comunicazioni degli animali spesso riportano esperienze soggettive, ad esempio, in certi esperimenti, i pappagalli hanno raffinato la propria abilità di imitare parole umane per chiedere oggetti desiderati e hanno risposto a domande moderatamente complesse, mentre le scimmie hanno dimostrato un aumento nell’abilità di usare gesti o simboli di una tastiera per fare richieste e per rispondere a domande.
Nuovi dati hanno dimostrato un’aumentata flessibilità nelle comunicazioni gesturali di sciami di api nel prendere decisioni di importanza vitale per il gruppo, come ad esempio quale cavità si debba scegliere come nuovo alveare. [1]
La coscienza umana coinvolge interazioni talamo-corticali che sono state trovate anche in altri mammiferi.
Questa scoperta suggerisce che la consapevolezza sia uno dei principali adattamenti biologici nei mammiferi.
Vi sono, inoltre, più di una dozzina di proprietà supplementari della coscienza umana che possono essere usate come test comparativi.
Queste omologie sono necessariamente più remote negli animali che non sono mammiferi, i quali non condividono il complesso talamocorticale.
Tuttavia, si è capito che si possono fare predizioni più “profonde” sull’esistenza di una coscienza anche negli uccelli, nei rettili, in molti invertebrati e in altre specie. [2]
Dati neuroanatomici, fisiologici e comportamentali suggeriscono che la coscienza possa essere presente anche negli uccelli. Inoltre, sulla base di ricchi repertori comportamentali e del complesso sistema nervoso dei cephalapoda, un gruppo di invertebrati che include il polpo, è stata suggerita la possibilità che questi animali siano in grado di avere esperienza di uno stato conscio. [3]
L’analisi di una possibile consapevolezza nelle specie non-umane tra le più disparate, come gli uccelli e i cefalopodi, può essere indirizzata verso la ricerca di proprietà neurali che sono collegate alla coscienza negli umani.
A seguito di questi studi, si è riscontrata la presenza di segnali tra il talamo e la corteccia negli uccelli e putative funzioni analoghe nei cefalopodi; segnali elettroencefalografici veloci e irregolari sono stati riscontrati in entrambi i gruppi di animali; è stata scoperta una diffusa attività elettrica nella corteccia degli uccelli e in strutture funzionalmente analoghe nei cefalopodi.
Questi processi possono essere ancora più collegati alla presenza di una consapevolezza negli animali quando sono correlati con accurati resoconti. Alcune forme rilevanti di resoconti sono la vocalizzazione nel caso del pappagallo cenerino oltre che la colorazione e il modellamento del corpo nel caso dei cefalopodi. [4]
Altre prove della coscienza negli animali ci provengono dalla metamemoria, trovando infatti una creatura che abbia una traccia di memoria che le permetta di usare informazioni su di uno stimolo percepito nel passato per formare una gamma di comportamenti diversi, si otterrebbe una buona prova che l’animale sia cosciente. [5]
Sempre la memoria viene poi presa come prova per l’esistenza di un accenno di cognizione negli insetti, infatti la struttura mnestica costituita da forme multiple di apprendimento descrive impulsi sensoriali e relativi comportamenti in modo tale da formare rappresentazioni cognitive di condizioni ambientali complesse. [6]
Ulteriori studi, questa volta di visione cieca e di metacognizione, mostrano in alcune specie comportamenti che hanno paralleli funzionali con il processo cognitivo cosciente umano.
I paradigmi del condizionamento, poi, possono essere usati per permettere agli animali di indicare il proprio stato emotivo attraverso risposte operanti. [7]
Anche se le prove della coscienza e delle emozioni degli animali sono necessariamente indirette, segnano comunque la necessità di una maggiore attenzione al benessere animale, costringendoci dunque a ripensare in termini etici e dunque ad abolire il loro uso in ambiti come la ricerca, l’allevamento, l’alimentazione, la caccia e altri settori, oltre ad orientarci verso una visione del mondo meno “specista”. [8]

Note:
[1] Griffin DR, Speck GB. New evidence on animal consciousness. Anim Cogn. 2004 Jan;7(1):5-18. Epub 2003 Dec 5.
[2] Seth AK, Baars BJ, Edelman DB. Criteria for consciousness in humans and other mammals. Conscious Cogn. 2005 Mar;14(1):119-39.
[3] Edelman DB, Baars BJ, Seth AK. Identifying hallmarks of consciousness in non-mammalian species. Conscious Cogn. 2005 Mar;14(1):169-87.
[4] Edelman DB, Seth AK. Animal consciousness: a synthetic approach. Trends Neurosci. 2009 Sep;32(9):476-84. doi: 10.1016/j.tins.2009.05.008. Epub 2009 Aug 26.
[5] Nicholas Shea, Cecilia Heyes. Metamemory as evidence of animal consciousness: the type that does the trick. Biol Philos. 2010 January; 25(1): 95–110.
[6] Randolf Menzel, Martin Giurfa. Dimensions of Cognition in an Insect, the Honeybee. Behav Cogn Neurosci Rev March 2006 vol. 5 no. 1 24-40
[7] Mendl, M.; Paul, E. S. Consciousness, emotion and animal welfare: Insights from cognitive science. Animal Welfare, Vol 13(Suppl), Feb 2004, S17-S25.
[8] Cottee SY. Are fish the victims of ‘speciesism’? A discussion about fear, pain and animal consciousness. Fish Physiol Biochem. 2012 Feb;38(1):5-15.

Mini-guida alla ricerca bibliografica per gli utenti di IOSA

Salve a tutti,
questa mini-guida nasce per tutti gli utenti di IOSA interessati ad una ricerca bibliografica. Partiamo dalle basi:
Gli scienziati conducono esperimenti di vario tipo e poi inviano i loro risultati e pensieri a riviste che hanno dei referee.
I referee sono scienziati nello stesso settore (pari degli scienziati che inviano l’articolo) che giudicano se gli esperimenti, i risultati e i pensieri degli scienziati su tutto ciò siano meritevoli di essere pubblicati.
Questo procedimento viene chiamato “revisione paritaria” o “peer review”.
Pubblicazioni e progetti di ricerca che non siano stati soggetti a una revisione paritaria non sono generalmente considerati scientificamente validi dai ricercatori e dai professionisti del settore, se non dopo eventuali e accurate verifiche. Ci sono molti difetti in questo sistema ma alla fin fine funziona.

Per Fortuna, esistono dei database che ci permettono di semplificarci la vita e che racchiudono tutti questi vari articoli scientifici, alcuni sono:

ScienceDirect: http://www.sciencedirect.com/
EBSCOhost: http://connection.ebscohost.com
SciVerse: http://www.hub.sciverse.com/action/home

Ma il più famoso e utile è sicuramente Pubmed (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/).

Facendo una ricerca su questo database otterremo un elenco di articoli, scegliendo quello che più ci interessa ci si aprirà una schermata con:
– in alto, il nome della rivista da cui è tratto l’articolo, la data, il volume e le pagine
– alla riga più in basso vi è il titolo dell’articolo
– ancora più in basso vi sono i nomi degli autori della pubblicazione
– infine, c’è l’abstract, che è il “riassunto” della pubblicazione, partendo da questo possiamo capire già molto dell’articolo, decidere se ci interessa e quindi andare a vedere l’articolo intero (il “full text”), qualora sia disponibile (spesso infatti è a pagamento)
– a volte, se il full text è disponibile gratuitamente, vedremo un’icona in alto a destra. Cliccandoci, possiamo accedere al full text o a siti che ce lo possono procurare.

Un dato importante è l’impact factor, ossia quante citazioni ricevono mediamente gli articoli di una determinata rivista scientifica. Questa misura viene utilizzata come valutazione approssimativa dell’importanza di una rivista a confronto con le altre dello stesso settore: più è alto l’impact factor più la rivista risulta autorevole.

Leggendo un articolo, o anche un abstract, dobbiamo innanzitutto almeno avere una minima comprensione dell’inglese e almeno delle minime basi di biologia.
Spesso un testo, pur essendo stato scritto da un vivisezionista e anche se quindi contiene opinioni pro-sperimentazione, può offrirci spunti per una critica al modello animale. Ad esempio, non mancano gli articoli che affermano “i risultati sull’animale dovrebbero essere estrapolati con cautela”, qualcun altro che afferma che i modelli animali sono validi nonostante abbia appena fatto un elenco di mancata predittività della SA, e c’è chi dà direttamente dati numerici allarmanti.
Tutti questi sono dati utili, soprattutto se non si parla di casi isolati.

Approfondimento sulle revisioni sistematiche:

Le Revisioni Sistematiche (RS), nell’opposizione scientifica alla sperimentazione animale, sono – a nostro avviso – la miglior arma in nostro possesso, in quanto ci forniscono un’indicazione globale dei valori predittivi del modello animale in un ambito specifico. Ma spieghiamo prima in cosa consistono.

Le RS riuniscono i risultati di tutti gli studi condotti su di un determinato argomento, ottenendo una stima molto affidabile e statisticamente molto stabile. Una RS serve a fornire un dato conclusivo su di un tema controverso, in quanto genera un’indicazione unica e complessiva a partire dalle informazioni, anche contrastanti, contenute nei singoli studi analizzati.
Le Meta-Analisi (MA), invece, possono essere considerate delle RS “quantitative”, sono tecniche statistiche che provvedono ad analizzare (fornendo sintesi quantitative) i dati presentati nei singoli studi, con lo scopo di minimizzare gli errori e di poter generalizzare le conclusioni relative.

Date queste premesse, è facile capire come le RS e le MA siano uno strumento molto, molto utile, atto a contrastare tutte le “fantomatiche scoperte ottenute grazie al modello animale”, che spesso, viste in una prospettiva complessiva (quale quella della RS), si rivelano un’eccezione più che una regola.

Spesso dagli studi otteniamo dati relativi ai seguenti parametri:
1. La sensibilità (sensitivity) del test;
2. La specificità (specificity) del test;
3. Il valore predittivo positivo (VPP, in inglese PPV); e
4. Il valore predittivo negativo (VPN, in inglese NPV).

* La sensibilità di un test è la probabilità di un risultato positivo per persone a cui il test dovrebbe risultare positivo.
E’ data dalla proporzione dei soggetti realmente malati e positivi al test (veri positivi) rispetto all’intera popolazione dei malati.

Quindi:
Sensibilità = Veri positivi / Totale malati = Veri positivi / (Veri positivi + Falsi negativi)

* La specificità di un test è la probabilità di un risultato negativo per persone a cui il test dovrebbe risultare negativo.
E’ data dalla proporzione dei soggetti sani e quindi negativi al test (veri negativi) rispetto all’intera popolazione dei sani.
Quindi:

Specificità = Veri negativi / Totale sani = Veri negativi / (Veri negativi + Falsi positivi)

* Il valore predittivo positivo (VPP) di un test è la proporzione di persone con risultati positivi che sono effettivamente positivi.
Quindi il Valore Predittivo Positivo è la quota di soggetti veri positivi sul totale dei positivi (veri e falsi positivi).

* Il valore predittivo negativo (VPN) è la proporzione di persone con risultati negativi che sono effettivamente negativi.
Quindi il Valore Predittivo Negativo è la quota di soggetti veri negativi sul totale dei negativi (veri e falsi negativi).

Tutti questi valori sono misurati in una scala da 0.0 (che è il più basso) a 1.0 (che è il più alto).

Molti pochi test hanno una sensibilità, specificità, VPP, o VPN di 1.0.
Ma affinchè il test sia utile, serve che sia predittivo molto più spesso rispetto a quando non lo sia.

Un test dunque che abbia bassi valori di questi parametri può essere facilmente criticabile, e questo vale anche per i test su animali.

Cancro e sperimentazione: siamo davvero così simili agli animali?

Esistono spesso pubblicazioni, come le seguenti, che pur essendo di parte (pro-sperimentazione), ci danno spunti interessanti, forse inconsapevolmente, per capire quanto il modello animale – in questo caso nello studio del cancro – sia poco predittivo e soggetto a problemi metodologici:

“It is concluded that the lifetime feeding study has never been subjected to proper validation as an assay for human carcinogens. When an attempt is made to validate it on the basis of these reported studies and those in the literature, it appears to lack acceptable specificity and sensitivity. It is suggested that a drastically different design is needed and that such redesigning of the assay will require proper validation.”
[David Salsburg. The lifetime feeding study in mice and rats — An examination of its validity as a bioassay for human carcinogens. Fundamental and Applied Toxicology Volume 3, Issue 1, January–February 1983, Pages 63–67]

“The chemicals showing no or unclear carcinogenic effects in humans were more likely to show toxic side effects in the animal studies, indicating that the test concentrations were above the maximum tolerated dose. In addition, the animal experiments with these chemicals more often showed neoplastic effects on multiple sites than chemicals for which clear positive epidemiological studies are available. These findings may explain the existence of discrepancies between the outcomes of animal testing and human studies. They suggest that carcinogenic effects in multiple organs in animals could be seen as ultimate manifestations of the side effects of the testing method and that they have limited predictive value for the human situation.”
[Meijers JM, Swaen GM, Bloemen LJ. The predictive value of animal data in human cancer risk assessment. Regul Toxicol Pharmacol. 1997 Apr;25(2):94-102.]

“Furthermore, the value of the bioassay is itself questionable. The inconsistencies in tumor responses between rodent species and strains, the simultaneous tumor increase and decreases within a study and the susceptibility to tumorigenicity from non-genotoxic chemicals by mechanisms now shown to be of no relevance to humans, together make the use of rodents highly misleading as predictors of human cancer risk.”
[Monro A. Are lifespan rodent carcinogenicity studies defensible for pharmaceutical agents? Exp Toxicol Pathol. 1996 Feb;48(2-3):155-66.]

“Methodological issues in the interpretation of animal cancer tests: constraints on the estimation of carcinogenic potency and validity problems associated with using the limited data from bioassays to estimate human risk, reproducibility of results in carcinogenesis bioassays, comparison of lifetable and summary methods of analysis, and summarizing carcinogenic potency when multiple experiments on a chemical are positive.”
[Gold LS, Slone TH, Ames BN. What do animal cancer tests tell us about human cancer risk?: Overview of analyses of the carcinogenic potency database. Drug Metab Rev. 1998 May;30(2):359-404.]

“Cancer arises from a stepwise accumulation of genetic changes that liberates neoplastic cells from the homeostatic mechanisms that govern normal cell proliferation. In humans, at least four to six mutations are required to reach this state, but fewer seem to be required in mice.”
[Hahn WC, Weinberg RA. Modelling the molecular circuitry of cancer. Nat Rev Cancer. 2002 May;2(5):331-41.]