Critica ai modelli animali in psicologia e psichiatria
In ambito psicologico, l’uso degli animali è ampiamente criticabile, infatti il comportamento dell’animale è facilmente mal interpretabile: ad esempio uno stesso segnale può essere interpretato come questo o quell’altro sintomo a seconda della malattia mentale presa in esame.
Inoltre buona parte delle sue risposte provengono da influenze ambientali, che in uno studio sperimentale in laboratorio sono difficilmente riproducibili, creando reazioni spesso innaturali o non rappresentative di quelle che le creature avrebbero nel loro habitat d’origine.
A ciò si devono aggiungere i famosi “constraints of learning”, ovvero i limiti biologici dell’apprendimento: ad esempio un procione, spesso, negli esperimenti di condizionamento, può non riuscire più, dopo qualche prova, a mettere un gettone in una cassetta, proprio perché l’animale in natura manipola il cibo prima di mangiarlo: il gettone non viene più buttato via perché “è” il cibo e il cibo non va certo gettato.
Gli animali pertanto rispondono a situazioni simili in maniera dettata non solo dal contesto sperimentale, ma anche dai loro stessi metodi di nutrizione o più in generale di comportamento.
Se ciò non bastasse, un altro importantissimo aspetto della questione è il linguaggio, che da una parte permette un’interpretazione molto più complessa degli eventi esterni da parte dell’uomo (non a caso, nonostante abbiamo un numero simile a quello di altri primati di chunk, ovvero di unità d’informazione che riusciamo ad assimilare nella memoria a breve termine, le nostre possono includere più elementi in un insieme allargato e strutturato che verrà registrato come un singolo chunk) e dall’altra, in quanto specie-specifico, crea un forte ostacolo alla trasposizione delle risposte animali all’essere umano.
Infine, il comportamento psicologico degli esseri umani è il riflesso di fattori familiari, sociali e culturali che non sono riproducibili in esseri viventi non-umani.
Per quanto riguarda invece l’aspetto psichiatrico, nei modelli animali vengono spesso usate sostanze chimiche o lesioni per “riprodurre” la schizofrenia, ad esempio Schmajuk propone come modello per questa patologia una creatura con l’ippocampo lesionato [1], mentre Lillrank, Lipska e Weinberger crearono un danni eccitotossici nell’ippocampo di animali neonati per lo stesso scopo. [2]
I manuali diagnostici (tra cui il DSM-IV) stabiliscono invece che per porre diagnosi di schizofrenia occorre che il paziente non abbia assunto sostanze e che non vi siano condizioni mediche (come traumi cranici) in grado di giustificare la sintomatologia. [3]
Sempre nel DSM-IV è stabilito che per porre diagnosi di schizofrenia devono essere presenti almeno 2 dei seguenti sintomi: deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico, sintomi negativi (vale a dire appiattimento affettivo, alogia, abulia) e contemporaneamente deve verificarsi uno scadimento delle funzioni sociali/lavorative. [3]
La maggior parte dei sintomi qui presenti non sono riproducibili su animali (soprattutto per l’assenza del linguaggio), tranne pochi che sono comuni anche in molte altre situazioni (ad esempio l’appiattimento affettivo non è valutabile per quanto riguarda la parte idetica ma solo per quella comportamentale e può essere associato all’apatia, mentre il comportamento disorganizzato si riscontra anche in molte altre patologie come le demenze).
Spesso, per studiare la depressione, si somministra agli animali la reserpina, una sostanza in grado di produrre inibizione dell’attività motoria, perdita di peso, modificazione della condotta sessuale e alimentare e ipotermia. [4]
Nei disturbi affettivi coesistono più sintomi, di cui quelli idetici sono i più importanti e significativi per giungere ad una diagnosi corretta. I sintomi che ci fornisce l’animale, dunque, non possono essere un indice di depressione negli esseri umani, ma al massimo l’equivalente di alcuni aspetti comportamentali e organici della depressione.
E’ invece impossibile ricreare negli animali da laboratorio pensieri di morte, ridotta capacità di pensare e concentrarsi, sintomi di autosvalutazione o di colpa, tristezza, crisi di pianto, senso di vuoto, visione negativa del futuro, deliri di rovina e di negazione.
Per cercare di riprodurre un altro disturbo affettivo, la mania, si possono somministrare agli animali anfetamine [5], che producono stereotipia, ritiro sociale, aggressività, aumento dell’attività motoria e ipervigilanza.
Mancano, ovviamente, tutti i sintomi legati all’ideazione, che rappresentano invece la quasi totalità della sintomatologia umana (ovvero autostima ipertrofica o grandiosa, maggiore loquacità, fuga delle idee o pensieri che si succedono rapidamente, distraibilità, eccessivo coinvolgimento in attività ludiche potenzialmente dannose e deliri di onnipotenza).
Inoltre i disturbi maniacali sono ciclici e ricorrenti, invece quelli indotti su animali persistono finchè si somministrano le anfetamine.
Anche in questo caso per porre diagnosi di episodio maniacale bisogna escludere l’assunzione di sostanze psicoattive.
E’ interessante constatare come questi modelli sperimentali sono considerati validi sia per le ricerche sulla mania che per quelle sulla schizofrenia pur essendo due forme patologiche completamente diverse [5] [6].
La confusione, nei diversi ambiti, può arrivare ai limiti dell’assurdo: un animale che dopo essere stato sottoposto a shock elettrico ripetuto resta solo in un angolo della gabbia, può essere interpretato come un modello di ritiro sociale nella depressione (l’animale è depresso e quindi non vuole più socializzare), nella psicosi (l’animale non riesce a socializzare e quindi si manifesta un ritiro autistico) o nella nevrosi (l’animale evita l’ansia provocata dalla socializzazione). Ovviamente ciascun ricercatore interpreta il sintomo in base alla sua convenienza, ovvero alla patologia su cui sta compiendo ricerche.
Per quanto riguarda i disturbi dell’alimentazione, secondo il manuale DSM-IV [7], i criteri per l’anoressia nervosa (ma la cui valutazione vale anche per i criteri della bulimia nervosa) includono “un’intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso”, “alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso” e “rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura”, tutti parametri che un modello animale non può soddisfare.
Nonostante questo, una procedura molto usata per “riprodurre” questi disturbi è quella di sottoporre gli animali a una falsa alimentazione (ad esempio si sutura un tubo di acciaio inossidabile nello stomaco di un animale, e dopo essere uscito dalla parete muscolare dello stomaco, il tubo fuoriesce dalla schiena, sotto la spalla della creatura. Questo tubo è connesso ad un ago che è cementato ad uno schermo di fibre di vetro. Il tubo con l’ago a sua volta è connesso ad un tubo di plastica che si estende attraverso un buco nel soffitto della gabbia dove si sta conducendo l’esperimento). [8]
Analisi critica dei modelli animali in psicofarmacologia
La Clorpromazina, un antipsicotico, sugli umani ha provocato diversi casi di tossicità epatica e a carico del sistema emopoietico, causando agranulocitosi. [9]
Questi gravi effetti collaterali non si erano verificati sul ratto [10] nè su altre specie usate nelle ricerche precliniche, tanto che si è giunti alla conclusione che non esista un modello animale per l’epatossicità della Clorpromazina. [11]
Gli antidepressivi non hanno ricevuto vantaggi dalle ricerche animali ed infatti Sitaram e Gershon affermano che “… quasi tutti i progressi significativi nel campo degli antidepressivi a partire dalla scoperta dell’Iproniazide e dell’Imipramina fino alla seconda generazione di antidepressivi introdotti di recente sono il risultato di acute osservazioni cliniche o scoperte casuali” [12].
La Zimelidina, un antidepressivo, era stata commercializzata all’inizio degli anni ’80, nel 1982 causò 7 decessi e 300 effetti collaterali di cui 60 gravi (convulsioni, danni epatici, febbre, emicranie, neuropatia, paralisi e 8 casi di Sindrome di Guillan-Barrè) che le causarono il ritiro l’anno successivo.
Andando a vedere la letteratura, nessun effetto tossico era stato evidenziato negli animali, nonostante le dosi maggiori [13].
La Mianserina, un altro antidepressivo, ha provocato in centinaia di pazienti gravi effetti collaterali a carico del sistema emopoietico che non erano stati dimostrati negli animali [14].
Successive ricerche condotte su tessuti umani hanno invece confermato quanto emerso a livello clinico. [15]
Note:
[1] Schmajuk NA. Animal models for schizophrenia: the hippocampally lesioned animal. Schizophr Bull. 1987;13(2):317-27.
ABSTRACT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/3616522
[2] Lillrank SM, Lipska BK, Weinberger DR. Neurodevelopmental animal models of schizophrenia. Clin Neurosci. 1995;3(2):98-104.
ABSTRACT: http://www.n
cbi.nlm.nih.gov/pubmed/7583625
[3] American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4th ed (DSM-IV), pp. 285–6.
[4] Leith NJ, Barrett RJ. Effects of chronic amphetamine or reserpine on self-stimulation responding: animal model of depression? Psychopharmacology (Berl). 1980;72(1):9-15.
ABSTRACT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/6781010
[5] Varela RB, Valvassori SS, Lopes-Borges J, Fraga DB, Resende WR, Arent CO, Zugno AI, Quevedo J. Evaluation of acetylcholinesterase in an animal model of mania induced by d-amphetamine. Psychiatry Res. 2012 Dec 11. pii: S0165-1781(12)00771-8. doi: 10.1016/j.psychres.2012.11.021.
ABSTRACT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23245536
[6] Robinson TE, Becker JB. Enduring changes in brain and behavior produced by chronic amphetamine administration: a review and evaluation of animal models of amphetamine psychosis. Brain Res. 1986 Jun;396(2):157-98.
ABSTRACT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/3527341
[7] DSM-IV. American Psychiatric Association. (1994). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (4th ed.). Washington, DC.
[8] Davis, John D.; Campbell, Constance S. Peripheral control of meal size in the rat: Effect of sham feeding on meal size and drinking rate. Journal of Comparative and Physiological Psychology, Vol 83(3), Jun 1973, 379-387.
ABSTRACT: http://psycnet.apa.org/index.cfm?fa=buy.optionToBuy&id=1974-00618-001
[9] Ben-Yehuda A, Bloom A, Lijovetzky G, Flusser D, Tur-Kaspa R. Chlorpromazine-induced liver and bone marrow granulomas associated with agranulocytosis. Israel Journal of Medical Sciences 1990, 26(8):449-451
ABSTRACT: http://europepmc.org/abstract/MED/2401609
[10] Castro-e-Silva Júnior O, Ceneviva R, Roselino JE. High chlorpromazine doses and liver function. Braz J Med Biol Res 1989; 22(3) :351-3.
ABSTRACT: http://www.unboundmedicine.com/anesthesia/ub/citation/2804470/High_chlorpromazine_doses_and_liver_function_
[11] “It has frequently been suggested that the jaundice which occurs in a small percentage of human patients following treatment with chlorpromazine is due to a hypersensitivity reaction. It has, however, proved impossible to obtain an animal model for this condition.”
Mullock BM, Hall DE, Shaw LJ, Hinton RH. Immune responses to chlorpromazine in rats. Detection and relation to hepatotoxicity. Biochem Pharmacol. 1983 Sep 15;32(18):2733-8.
ABSTRACT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/6626244
[12] “Two major points emerge from our readings; the surprisingly poor track record of most if not all animal models to date (a) in accurately predicting clinically effective antidepressants and (b) in generating new and conceptually liberating hypotheses of the pathophysiology of depression. These observations are highlighted by the fact that almost every significant advance in antidepressant drug treatment from the discovery of iproniazid and imipramine to the recently introduced “second generation” class of antidepressants has resulted either from astute clinical observations or serendipity; a far cry from a planned, predictive, screening test. In fact many second generation antidepressants such as iprindol, mianserin, trazodone and salbutamol should be classified as “false negatives” on the conventional drug screening models (i.e., ineffective during preclinical screening but clinically efficacious). Conversely, a series of compounds, predicted to be at least as effective as imipramine, were reported to be clinically ineffective (i.e., false positives).”
Sitaram N, Gershon S. From animal models to clinical testing — promises and pitfalls. Prog Neuro-Psychopharmacol & Biol Psychiat 1983;7:227-228.
[13] Heel RC, Morley PA, Brogden RN, Carmine AA, Speight TM, Avery GS. Zimelidine: a review of its pharmacological properties and therapeutic efficacy in depressive illness. Drugs. 1982 Sep;24(3):169-206.
ABSTRACT: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/6215240
[14] HM Clink. Mianserin and blood dyscrasias. British Journal of Clinical Pharmacology Volume 15, Issue S2, pages 291S–293S, April 1983
ABSTRACT: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1365-2125.1983.tb05877.x/abstract
FULL TEXT: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1365-2125.1983.tb05877.x/pdf
[15] Roberts P, Kitteringham NR, Park BK. Species differences in the activation of mianserin to a cytotoxic metabolite. Drug Metab Dispos. 1991 Jul-Aug;19(4):841-3.
Per ulteriori informazioni sull’argomento, consigliamo la lettura del libro “Sperimentazione Animale e Psiche: Un’Analisi Critica” di S. Cagno, Cosmopolis Edizioni.