Le comparazioni tra il cervello umano e quello dei primati non-umani sono limitate dalla maggior complessità del primo, a causa della sua più grande dimensione e della sua capacità di linguaggio.
Nonostante vi siano controparti delle strutture del cervello (ad esempio) del macaco in quello umano, le loro funzioni possono aver deviato durante il corso dell’evoluzione. Spesso, aree nel cervello che sembrano avere determinate funzioni nelle scimmie non hanno lo stesso ruolo nell’essere umano.
Per quanto riguarda gli ampi dettagli strutturali dei cervelli umani e dei primati, Hacia scrive:
“I cerebrotipi, una misura da specie a specie della dimensione e nell’architettura del cervello, sono stati esaminati nei lignaggi di primati. Benchè soggetto ad interpretazione, il cervelletto fu trovato ad occupare una costante frazione del volume totale del cervello in un diverso numero di mammiferi. Nei primati il telencefalo è cresciuto considerevolmente alle spese di midollo, mesencefalo e diencefalo. Questa tendenza è più pronunciata negli umani e in altri ominidi rispetto ai primati inferiori. Il componente della neocorteccia del telencefalo mostra la sua più grande espansione negli ominidi laddove ippocampo, setto, schizocorteccia, corteccia piriforme e bulbo olfattivo diminuivano. Relativamente agli altri primati, gli umani mostrano un’aumentata connettività interemisferica nella materia cerebrale bianca, ma una minore connettività interemisferica nel corpo calloso e nella commessura anteriore. Questa sembra essere una funzione della dimensione del cervello. Gli umani hanno dimensioni cerebrali più ampie (~1300 cm³) rispetto ad altri primati come i comuni scimpanzè (~340 cm³), i gorilla (~380 cm³) e le scimmie rhesus (~80 cm³).
Sembra accettabile che la relativa abbondanza di tipi cellulari specifici sarà altresì importante nell’evoluzione del cervello dei primati. I neuroni piramidali e non piramidali, che compongono la neocorteccia, sono conservati in diversi lignaggi di primati. Tuttavia, i neuroni di Von Economo sono presenti in umani, scimpanzè, gorilla e orangutan ma non in altri primati.
Questi neuroni sono più abbondanti negli scimpanzè e negli umani. E’ interessante notare che gli umani tendono ad avere più neuroni di Von Economo con dimensioni cellulari maggiori rispetto agli scimpanzè. La loro localizzazione nella corteccia cingolata anteriore li implica in comunicazione, comprensione del linguaggio e funzioni automatiche. Specifici neuroni in molteplici individui in diversi stadi dello sviluppo necessitano di essere meticolosamente esaminati per indirizzare rigorosamente l’evoluzione cerebrale. Tuttavia, questioni di maggior etica, legali e sociali riguardanti l’approvvigionamento di esemplari sono presumibilmente in grado di impedire questo tipo di esperimenti negli umani e nelle scimmie antropomorfe”. [1]
Vi sono differenze nella fisiologia e anatomia di base tra gli umani e gli scimpanzè. Enard et al [2] hanno comparato il trascrittoma nei leucociti del sangue, nel fegato e nel cervello di umani, scimpanzè, orangutan e macachi usando microarray, così come l’espressione di proteine negli umani e negli scimpanzè. Hanno anche studiato tre specie di topo che sono approssimativamente correlate tra loro come lo sono umani, scimpanzè e orangutan. Hanno identificato profili specie-specifici di espressione genica indicando come cambi nell’espressione genica e di proteine siano stati particolarmente pronunciati nel cervello umano. Hanno comparato i livelli di mRNA nel cervello e nel fegato di umani, scimpanzè e di un orangutan.
Hanno esaminato approssimativamente 12 000 geni umani (guarda la tabella e le figure sottostanti):
Tabella 1. Le differenze nel profilo di proteine cerebrali tra gli umani e gli scimpanzè come analizzato dal gel 2D elettroforesi. Le differenze tra umani e scimpanzè sono state segnate se confermate in tre coppie individuali di umani-scimpanzè e sono state analizzate nello stesso modo del più ampio studio sui topi in cui venivano comparati M. musculus ed M. spretus. Le differenze qualitative rappresentano cambi nella mobilità elettroforetica degli spot, che presumibilmente risultano da sostituzioni amminoacidiche, considerato che le differenze quantitative riflettono cambiamenti nell’ammontare di proteine.
Figura 1. Distanze sotto forma di alberi rappresentanti la relativa estensione di cambi di espressione nel cervello e nel fegato tra (A) tre specie di primati e (B) tre specie di topi: MUS., M. musculus; SPR., M. spretus; e CAR, M. caroli (6). I numeri si riferiscono alla proporzione tra i cambiamenti comuni a umani e scimpanzè e quelli di M. musculus e M. spretus, rispettivamente.
Figura 2. Distanze sotto forma di alberi rappresentanti la relativa estensione dei cambiamenti di espressione tra 3 specie di primati e 3 tessuti così come sono risultati dai saggi di cDNA. I numeri si riferiscono alla proporzione tra i cambiamenti comuni a umani e scimpanzè.
Enard et al dichiara:
“I nostri risultati mostrano che quel grande numero di cambiamenti quantitativi nell’espressione genica può essere rilevato tra mammiferi vicini e imparentati tra loro. In aggiunta suggeriscono che questi cambiamenti sono stati particolarmente pronunciati durante la recente evoluzione del cervello umano. Le ragioni sottostanti a queste differenze nell’espressione sono presumibilmente molteplici, ad esempio, duplicazione e delezione di geni, cambiamenti nei promotori, cambiamenti nei livelli di fattori di trascrizione e cambiamenti nell composizione cellulare di tessuti.”
I modelli di malattie umane sono generalmente sviluppati in primati non umani in quanto sono soggetti con caratteristiche comportamentali e anatomiche simili a quelle umane. Ma le differenze specifiche giocano un ruolo nell’espressione clinica così come nella specificità cellulare della malattia. Ad esempio, la degenerazione striatale negli umani è frequentemente associata con la dischinesia, mentre nei primati nonumani, le lesioni eccitotossiche da sole non sono sufficienti a indurre dischinesia o corea. Secondo, in aggiunta a queste differenze tra specie, il tempo dell’evoluzione dell’andamento della degenerazione delle cellule nervose, che normalmente si evolve in diversi anni nelle malattie neurodegenerative negli umani, mentre, per ragioni pratiche, è sostituito da un più breve periodo nei modelli animali.
Come scrivono i ricercatori al Salk Institute e all’Università della California:
“Cosa si conosce della neuroanatomia del cervello umano? Abbiamo una mappa corticale umana corrispondente a quella per il macaco? E a cosa assomiglia l’equivalente umano della mappa associativa? La vergognosa risposta è che non abbiamo queste dettagliate mappe perchè, per ovvie ragioni, la maggior parte dei metodi sperimentali usati sul cervello dei macachi non può essere usata su umani […] Per altre regioni corticali, come le aree del linguaggio, non possiamo usare il cervello del macaco neanche come guida abbozzata in quanto probabilmente mancano regioni comparabili” [3]
I cervelli dei primati non-umani e umani sono innegabilmente simili nella struttura, ma ciò non implica che le strutture nel cervello dello scimpanzè
abbiano le stesse funzioni di simili strutture nel cervello umano. Il cervello dello scimpanzè non è una versione più piccola e più primitiva del cervello umano, è un sistema complesso con la sua unica storia evolutiva. Ci saranno differenti sviluppi di moduli negli umani e negli scimpanzè che riflettono che le due specie hanno preso distinte traiettorie evolutive, adattando e risolvendo differenti problemi cognitivi nel corso dell’evoluzione. Le somiglianze strutturali nel sistema visivo dei primati, ad esempio, ci dicono molto poco sul carattere soggettivo dell’esperienza visuale negli scimpanzè.
Vi sono miriadi di altre differenze: il tipo-1 di cheratina umana dei capelli del cluster genico contiene uno pseudogene φHaA. Questo gene è funzionale negli scimpanzé e nei gorilla. La ragione per cui il gene umano è non funzionale è che ha una mutazione nonsenso nell’esone 4 a causa di un polimorfismo a singolo nucleotide (SNP).
Gli umani esprimono il gene Hal attraverso la corteccia del capello, mentre gli scimpanzé e i gorilla esprimono Hal in una metà della corteccia e HaA nell’altra metà. [1]
Ci sono anche differenze nelle glicoproteine. Hacia scrive:
“Molte superfici cellulari delle glicoproteine sono modificate con acidi sialici come l’acido N-glicolilneuraminico (Neu5Gc). Le grandi scimmie africane e altri mammiferi non-umani hanno sostanziali quantità di Neu5Gc nella maggior parte dei tessuti, ad eccezione del cervello.
Al contrario, gli umani non hanno significative quantità di Neu5Gc in ogni tessuto a causa di una mutazione frame-shift nel gene umano che codifica l’acido CMP-sialico idrossilasi, che sintetizza CMP-NeuGc, un donatore ad alta energia usato nella decorazione delle glicoproteine con NeuGc. L’importanza biologica della perdita nell’uomo di Neu5Gc è sconosciuta. Chiaramente ha un effetto sui siglec (i membri della superfamiglia delle immunoglobuline che riconoscono gli acidi sialici), che riconoscono Neu5Ac (l’acido N-Acetilneuraminico) ed Neu5Gc differentemente.
A differenza degli scimpanzé, la maggior parte dei macrofagi umani esprimono siglec-1 (sialoadesina) sulla loro superficie. Questi macrofaci sono localizzati in diverse regioni della milza di umani e scimpanzé.
La perdita di Neu5Gc può causare suscettibilità differenziale a patogeni che usano i ligandi di Neu5Gc per ottenere l’accesso alle cellule. Non si può escludere che la perdita di Neu5GC alteri la funzione delle glicoproteine nel cervello umano e potenzialmente colpisca lo sviluppo cerebrale”
Vi sono anche differenze nella suscettibilità alle malattie, manifestazione e risposta ai trattamenti, ciò nonostante i primati non umani sono usati come modelli sperimentali per studiare un’ampia gamma di patologie neurodegenerative umane.
Nel 1936, il neurologo portoghese Egas Moniz introdusse un’operazione chirurgica, per cui vinse il Premio Nobel nel 1949; la leucotomia prefrontale o lobotomia.
L’operazione consisteva in incisioni che distruggevano le connessioni tra la regione prefrontale e altre parti del cervello. Lesionare il cervello per trattare malattie mentali non era qualcosa di nuovo ma non era stato mai adottato così estesamente. Poi, ad una conferenza neurologica a Londra nel 1935, Jacobsen & Fulton presentarono i dati ricavati dall’operazione di due scimpanzé che, dopo una leucotomia, riuscivano a fare errori senza diventare aggressivi, cosa che non erano riusciti a fare prima. Moniz prese questi dati dagli scimpanzé e li applicò agli uomini. Operò su pazienti con disturbi affettivi, tra cui vari tipi di depressione, disturbo ossessivo-compulsivo, ipocondriaci e così via. Questa operazione rendeva gli umani più docili, come accadeva negli scimpanzé, ma distruggeva anche la loro personalità lasciandoli inattivi e senza memoria.
Marvanová et al. Usarono microarray umani per tracciare un profilo dei geni dal cervello di umani, macachi e uistitì, e li combinò con dati provenienti da scimpanzé e orangutan per creare un insieme di dati che rivelasse somiglianze e differenze nell’espressione dei geni sottostanti il morbo di Parkinson, di Alzheimer e la malattia di Huntington. [4]
Trovarono che un grande numero di geni sono espressi nella corteccia prefrontale umana e che una significativa percentuale di questi sono espressi anche nei primati non umani. Ma trovarono anche profonde differenze:
“Dei 12386 insiemi di ricerca analizzati nel chip Affymetrix U95A, 5460 (il 45%) geni nell’intero cervello umano erano “presenti.” Questo indica che almeno il 45% dei geni inclusi negli array umani sono stati scoperti nel cervello adulto umano. Nei tessuti prefrontali corticali il numero di geni presenti era: essere umano, 4794 (39%); scimpanzè, 4173 (34%); orangutan, 3501 (28%); macaco, 3376 (27%); uistitì, 2960 (24%).
[…] Approssimativamente il 20% dei geni umani presenti aveva un diverso profilo di espressione (>2-fold change) negli scimpanzé e più del 25% di geni nell’orangutan, macaco e uistitì aveva un diverso profilo nell’espressione. Le aree di distribuzione furono generate per identificare i geni e comparare l’espressione degli esseri umani rispetto ai primati non-umani. Più dell’80% dei geni aveva un simile livello di espressione (<2-fold change) nell’uomo comparato con lo scimpanzé e più del 60% delle altre specie studiate. La percentuale di geni presenti nella corteccia prefrontale e che mostravano un diverso livello di espressione (>2-fold change) era, nello scimpanzè, il 18%; nell’orangutan, il 37%; nel macaco, il 26%; nell’uistitì, il 33%. Il numero di geni più altamente espressi (>2-fold change) negli umani/più altamente espressi nei primati non-umani, e il loro rapporto erano, nello scimpanzè (470/231 geni, 2.0), nell’orangutan (910/249 geni, 3.7), nel macaco (528/280 geni, 1.9), e nell’ uistitì (539/311 geni, 1.7).
I geni AD, PD e HD, implicati nelle comuni malattie neurodegenerative, contenevano differenze qualitative e quantitative nella corteccia prefrontale dei primati non-umani. Alcuni geni conosciuti per svolgere un ruolo nel morbo di Alzheimer si riscontravano negli umani e nei primati non-umani (PS1, amiloide AD, precursore dell’amiloide, CHRM3, tau, ubiquitina), ma altri non c’erano (apolipoproteina E, NMDAR2C, TNF-α). I sei geni che erano in relazione al sistema dopaminergico e di conseguenza probabilmente al morbo di Parkinson (ubiquitina, gamma-sinucleina, recettore della dopamina 1, MAOB, MAOA, COMT) esibivano una buona concordanza nell’uomo, nello scimpanzé e nell’orangutan (ad eccezione del recettore della dopamina 1), ma si osservarono punteggi assenti per il recettore della dopamina 1 e per la COMT nel macaco e per il recettore della dopamina 1, per la MAOA e per la COMT nell’uistitì. Il gene HD collegato alla malattia di Huntington non fu rilevato in alcuna specie testata e l’ HIP2 fu rilevato solo nella corteccia prefrontale di di scimmie a cui si era fatto un profilo. Dei 12 geni correlati ai meccanismi base (fattori di crescita e i loro recettori, fattori di trascrizione, citocinesi e molecole dell’apoptosi), 9 erano concordanti e 3 erano discordanti, principalmente nel caso delle corteccie prefrontali degli uistitì, con l’eccezione del trascritto Bcl-2, che non era stato rilevato nell’orangutan o nel macaco. Il recettore 2 del glutammato era sovraregolato e quattro geni implicati nella trascrizione erano sottoregolati in tutti i primati non-umani rispetto agli umani.
[…] Molti geni trovati nella patologia di Alzheimer (precursore dell’amiloide, CHRM3, tau e ubiquitina) furono trovati anche nei primati non-umani, mentre quelli assenti nella corteccia prefrontale umana (presenilina 1, amiloide AD) erano assenti nei primati non-umani. Parecchi geni correlati alla patologia della malattia di Huntington, come il gene HD, furono trovati nella corteccia prefrontale umana ma non nella corteccia prefrontale degli altri primati non-umani; la proteina 2 di Huntington (HIP2) non fu rileva
ta nelle cortecce prefrontali umana e delle scimmie antropomorfe mentre lo fu nelle cortecce prefrontali delle scimmie. Per di più, la COMT, un enzima con un ruolo nella degradazione della dopamina, era presente negli umani e nelle scimmie antropomorfe ma non fu rilevato in alcuna specie di scimmia testata […] Quattro geni implicati nella trascrizione erano sottoregolati almeno doppiamente in tutte le specie di primati non umani a differenza degli umani …”
Considerando il fatto che una differenza molto piccola tra due sistemi complessi può portare a modi molto diversi in cui i sistemi complessi agiscono, queste differenze non sono insignificanti.
Marvanova et al. [4] studiarono i profili di espressione genica di umani, scimpanzé e altri primati non-umani relativamente alle malattie neurologiche. Scrivendo nel “The FASEB Journal” nel 2003, gli autori conclusero:
“ 1. Un ampio numero di geni sono espressi nella corteccia umana prefrontale; una significativa percentuale di questi sono anche espressi nei primati non-umani.
2. Approssimativamente il 20% dei geni presenti nell’uomo aveva un profilo di espressione diverso (>2-fold change) negli scimpanzè e più del 25% dei geni nell’orangutan, nel macaco e nell’uistitì aveva un diverso profilo di espressione.
3. I geni AD, PD e HD, implicati nelle comuni malattie neurodegenerative contenevano differenze qualitative e quantitative nella corteccia prefrontale dei primati non-umani”
E’ interessante notare che gli autori concludevano che questi primati non-umani potessero essere apprezzabili modelli sperimentali nonostante le sopra menzionate differenze. E’ un errore come questo, fraintendendo il concetto di geni simili, scambiandolo con quello di funzioni genetiche simili.
Come menzionato prima, non sono i geni stessi che sono importanti, ma piuttosto come sono espressi. Considerando le differenze nei profili di espressione, non dovremmo essere sorpresi che lo scimpanzé reagisca differentemente all’ambiente e ai geni che negli umani producono l’Alzheimer, il Parkinson e così via.
Courtney et al. studiarono la memoria di lavoro negli umani e nelle scimmie.
La loro analisi comparativa porta allo scoperto ciò che ci si poteva aspettare: l’esistenza di somiglianze e differenze. Sulle differenze scoperte il seguente testo ne fa specifica menzione:
“Primo, ci sono tre regioni prefrontali separate associate con la memoria di lavoro per gli oggetti negli esseri umani, di cui solo una è stata identificata nelle scimmie. Secondo, la regione frontale associata con la memoria di lavoro spaziale negli esseri umani occupa una locazione più dorsale e posteriore rispetto all’area omologa nelle scimmie. Tuttavia, come nella scimmia, in cui l’area specializzata per la memoria di lavoro spaziale è localizzata appena anteriore ai campi oculari frontali, la stessa relazione topologica esiste nell’uomo. Terzo, non c’è alcuna prova nelle scimmie della lateralizzazione emisferica dei processi di memoria di lavoro, mentre negli esseri umani l’emisfero sinistro sembra predominare per le rappresentazioni analitiche dell’oggetto, e il destro per la rappresentazione basata su immagini dell’oggetto”. [5]
Studi comparativi hanno anche rivelato l’importanza delle differenze nella regolazione genica nel cervello degli esseri umani e di altri primati. Varki et al. hanno così osservato:
“Nonostante gli studi basati sui microarray di espressione genica interspecie siano colpiti da varie questioni tecniche o metodologiche, rivelano alcuni temi principali. Primo, c’è un’apparente accelerazione nell’evoluzione dei geni arricchiti del cervello negli umani rispetto agli scimpanzé, assieme ad altri tessuti. Questa scoperta è stata interpretata per dimostrare una selezione positiva, ma è conforme anche ad un allentamento di restrizioni. Una seconda, collegata osservazione è che nel lignaggio umano ci sono maggiori aumenti nell’espressione genica che cali.
Questo può indicare una generale sovraregolazione dell’energia metabolica del cervello negli esseri umani, una caratteristica consistente con l’espansione della neocorteccia nel lignaggio umano. Terzo, un modello neutro è stato proposto per spiegare molti dei cambiamenti dell’espressione genica nel cervello, perché c’è una maggiore variazione nei geni arricchiti dei sistemi non-nervosi rispetto ai geni arricchiti del cervello.” [6]
Passiamo dunque all’uso dello scimpanzé negli studi cognitivi. Nessuno nega il fatto che se si voglia imparare qualcosa sul pensiero degli scimpanzé si debbano studiare gli scimpanzé. Se qualcuno vuole studiare le differenze tra il cervello umano e quello dello scimpanzé deve studiare sia il cervello umano che dello scimpanzé. L’anatomia comparata e la medicina comparata sono campi legittimi della scienza, tuttavia non sono sinonimi della ricerca biomedica che propone di offrire speranze alle persone che soffrono di Alzheimer, epilessia, sclerosi multipla, Parkinson e altre malattie del cervello e del sistema nervoso.
Inoltre, è da ingenui studiare la depressione o l’ansia negli scimpanzé, trovare il modo che soffrano e che soffrano nelle stesse situazioni in cui soffrirebbero gli esseri umani e definire questa scoperta “importante per gli esseri umani che soffrono di malattie mentali”. Se una persona desidera capire qualcosa sulla depressione umana, deve studiare gli umani. Semplicemente perché gli scimpanzé soffrono di malattie di cui soffrono anche gli esseri umani non significa che soffrano di queste malattie per lo stesso motivo, che manifestino la stessa psicopatologia o rispondano allo stesso modo agli stessi trattamenti.
Gli scimpanzé possono essere usati per la neuroanatomia e la neuropatologia degli scimpanzé, ma insinuare che questa conoscenza sia di beneficio agli esseri umani è falso e contrario ala corrente teoria biologica.
Riferimenti bibliografici:
[1] Hacia JG. Genome of the apes. Trends Genet. 2001 Nov;17(11):637-45.
[2] Wolgang Enard, Philipp Khaitovich, Joachim Klose, Sebastian Zollner, Florian Heissig, Patrick Giavalisco, Kay Nieselt-Struwe, Elaine Muchmore, Ajit Varki, Rivka Ravid, Gaby M. Doxiadis, Ronald E. Bontrop, Svante Paabo1 Intra- and Interspecific Variation in Primate Gene Expression Patterns. 12 April 2002 Vol 296 Science 340-43
[3] Crick F, Jones E. Backwardness of human neuroanatomy. Nature. 1993 Jan 14; 361(6408): 109-10.
[4] Markéta Marvanová, Jean Ménager, Erwan Bezard, Ronald E. Bontrop, Laurent Pradier and Garry Wong. Microarray analysis of nonhuman primates: validation of experimental models in neurological disorders. The FASEB Journal. 2003;17:929-931.
[5] S M Courtney, Petit, Haxby, Ungerleider. The role of prefrontal cortex in working memory: examining the contents of consciousness. Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci. 1998 November 29; 353(1377): 1819–1828.
[6] Varki A, Geschwind DH, Eichler EE. Explaining human uniqueness: genome interactions with environment, behaviour and culture. Nat Rev Genet. 2008 Oct;9(10):749-63. doi: 10.1038/nrg2428.
(liberamente tradotto da:
Animal Models in Light of Evolution – Niall Shanks, Ph.D. & C. Ray Greek, M.D.
e
A Scientific Case for the Elimination of Chimpanzees in Research – Greek, R., Greek, J., & Shanks, N. (2005). Written for Project R&R. Available from: http://www.releasechimps.org/pdfs/A_Scientific_Case_for_the_Elimination_of_Chimpanzee_Research.pdf)